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Le prime comunità

(Le prime comunità)

(The first communities)

  La presenza delle prime comunità umane nell’area di Venosa risale al Paleolitico inferiore, testimoniata dal ritrovamento di numerosi strumenti di pietra dalla tipologia già molto progredita (amigdale), tipiche di quel periodo. Al Neolitico si deve l’installazione di un primo embrione di organizzazione antropica dello spazio. Successivamente, intorno al VII secolo a. C., con gli Appuli si ebbe il primo insediamento sul promontorio venosino di dimore stabili. Nel IV secolo a. C., i Sanniti, s’impossessarono della Città. Benché relativamente breve (350 – 290 a.C.), il dominio sannita rappresentò per la città un periodo di potenza e di prosperità.

L’inizio dell’espansionismo romano

(L’inizio dell’espansionismo romano)

(The beginning of Roman expansionism)

  L’inizio dell’espansionismo romano verso il Sud della penisola si ebbe a partire dal nel 291. a. C. Protagonista della conquista fu L. Postumio Megello ben presto estromesso e sostituito dalla potente famiglia dei Fabii. Furono proprio i Fabii, infatti che si occuparono delle cerimonie di fondazione della città, e che decisero di confermare il nome di Venusia alla nuova colonia. Inquadrata tra le colonie di diritto latino, Venosa godette di una larga autonomia, vincolata al solo patto di alleanza con Roma. La colonia ebbe un ruolo attivo durante la seconda Guerra Punica (218 – 201 a. C.), che vide Roma impegnata contro gli eserciti di Annibale, fornendo cospicui aiuti durante le varie fasi del conflitto. Proprio in occasione della famosa battaglia di Canne, Venosa accolse le guarnigioni scampate al massacro e fornì loro i supporti necessari per sferrare il contrattacco. In tale periodo, la città dovette essere senza dubbio logorata e gravemente decurtata nel numero degli abitanti se nel 200 a.C. vi fu inviato un rinforzo di coloni, per la scelta dei quali furono nominati dei triumviri. A partire dal 190 a.C., con il definitivo prolungamento della via Appia (la più antica delle strade consolari romane), la città divenne un importante centro commerciale e quindi amministrativo acquisendo una posizione di privilegio all’interno della regione.

La crescita dopo la conquista romana

(La crescita dopo la conquista romana)

(Growth after the Roman conquest)

  Per effetto della “lex julia de civitate”, Venusia ebbe un avanzamento di grado nel sistema gerarchico delle città romane, divenendo “municipium civium romanorum” (municipio romano), e inserita nella tribus Horatia, la vecchia tribù in cui erano inquadrati i ceti di governo. Nel 43 a.C. Venusia perse lo status di municipio romano e ritornò ad essere un colonia militare. Il ritorno al vecchio status non va però considerato come un semplice declassamento, al contrario, l’afflusso di nuova popolazione scelta tra i veterani di guerra più valorosi, favorì l’inizio di un nuovo periodo di floridezza e di sviluppo economico. Il tempo di Augusto imperatore coincise con il periodo di massima espansione economica della Venusia romana, periodo nel quale la città conobbe, tra l’altro, un notevole incremento di costruzioni e di edifici pubblici (terme, anfiteatro, ecc.). Nel 114 d.C., con la decisione dell’Imperatore Traiano di deviare il tracciato originale della via Appia, facendo costruire una variante verso la Puglia, Venosa restò tagliata fuori dalle grandi vie di comunicazione e incominciò a perdere il ruolo di importante centro militare.

L’età tardo antica

(L’età tardo antica)

(The late ancient age)

  In età tardo antica a Venosa, oramai ridimensionata nel suo ruolo originale, anche grazie alla presenza di una fiorente comunità ebraica dedita al commercio, incominciò a diffondersi il messaggio cristiano, soprattutto però nelle aree extraurbane (di qui la presenza di alcuni piccoli edifici religiosi fuori le mura). Nel 238, Filippo, nominato vescovo di Venosa, a capo di una numerosa comunità cristiana, diede inizio al lento processo di sostituzione del potere religioso a quello civile nell’amministrazione della città. L’affermarsi quindi del potere vescovile come espressione della nuova classe dirigente locale portò lo stesso vescovo ad assumere via via anche poteri e prerogative proprie dell’amministrazione civile

Il declino dell’Impero Romano di Occidente

(Il declino dell’Impero Romano di Occidente)

(The decline of the Western Roman Empire)

  L’inarrestabile declino, iniziatosi con la deviazione della via Appia, si protrasse fino al crollo dell’Impero Romano d’Occidente. Lo sfaldamento dell’impero determinò l’arrivo dei popoli cosiddetti barbari, e quindi prima i Bizantini nella prima metà del 500 e successivamente i Longobardi che occuparono i territori dell’ex regione lucana, dividendola amministrativamente in Gastaldati (Nell'ordinamento medievale, il gastaldato o gastaldia era una circoscrizione amministrativa governata da un funzionario della corte regia, il gastaldo o castaldo, era il delegato ad operare in ambito civile, militare e giudiziario). Venosa in età alto medievale vide arretrare sensibilmente i suoi confini nord-orientali e quindi ridursi il suo perimetro urbano. Accanto a tale fenomeno, si ebbe anche una forte contrazione demografica e un costante abbandono delle campagne ormai divenute meno sicure.
  (Allergene: Noci)

Il dominio longobardo

(Il dominio longobardo)

(The Lombard rule)

  Sotto i Longobardi la città, ricompresa nel gastaldato di Acerenza, era governata da un conte che esercitava il suo potere su delega del gastaldo. A tale periodo si fa risalire la prima struttura fortificata altomedievale che, stando alle ipotesi più accreditate, sorgeva sull’area dell’attuale Istituto dei Padri Trinitari, già Convento di Sant’Agostino e poi Seminario diocesano. I Longobardi restarono a Venosa in posizione dominante per circa quattro secoli, durante i quali la pace e la tranquillità furono più volte minacciate dai Bizantini e dai Saraceni che, fecero le prime incursioni dall’840 all’851, quando la città venne conquistata e sottomessa fino all’866.

Saraceni e bizantini

(Saraceni e bizantini)

(Saracens and Byzantines)

  Sotto la dominazione saracena Venosa dovette subire ulteriori saccheggi e distruzioni che mortificarono ulteriormente la già precaria condizione economica. Nell’866 Lodovico II, re dei Franchi, di passaggio da Venosa diretto al monastero di Monte Sant’Angelo, liberò la città dai Saraceni. Dopo la sua partenza, la città ricadde in mano bizantina, e dopo l’ultimo saccheggio saraceno del 926, resterà in mano bizantina fino all’arrivo dei Normanni (1041).

I Normanni

(I Normanni)

(The Normans)

  In tale periodo, l’arrivo dei Benedettini a Venosa, provenienti dai territori dell’attuale Campania, segnò un momento importante nella plurisecolare storia della città. Infatti, la loro presenza favorì una sensibile ripresa urbana che trovò nella costruzione della abbazia della SS. Trinità il punto più alto. La ripresa urbana, già avviatasi sul finire del X secolo per opera dei monaci basiliani e appunto benedettini, ricevette una robusta intensificazione in epoca normanna. Nella spartizione delle terre conquistate dai Normanni, la città venne assegnata a Drogone della famiglia degli Altavilla (1043) che, in qualità di signore assoluto, la tenne in “allodium” cioè come patrimonio familiare. In tale periodo si ebbe la rifondazione del monastero benedettino della S.S. Trinità che, con i Normanni, divenne il massimo centro del potere religioso, tanto che questi lo destinarono a luogo di sepoltura dei membri della famiglia degli Altavilla. A partire da questo momento, il monastero divenne beneficiario di continue donazioni che nel corso dei secoli costituiranno il cosiddetto Baliaggio della Trinità, abolito e smembrato dai francesi nel primo decennio del 1800.

I monaci benedettini e i gerosolimitani

(I monaci benedettini e i gerosolimitani)

(The Benedictine monks and the Jerusalemites)

  Lo stato di floridezza e di prosperità dell’importante edificio religioso raggiunse il culmine sul finire del XII secolo, quando i monaci benedettini decisero di intraprendere il grandioso progetto di costruzione di una nuova chiesa che, nelle loro intenzioni, avrebbe dovuto avere dimensioni più che ragguardevoli. Molto probabilmente, la eccessiva grandiosità del progetto e la crisi in cui precipitò il monastero subito dopo l’inizio dei lavori, determinarono l’interruzione dell’impresa, con la quale si esauriva la parabola di crescita della città. Infatti, nel 1297 papa Bonifacio VIII sottrasse loro e ne affidò la conduzione all’ordine Gerosolimitano di San Giovanni che, però, non riuscì a produrre nessun avanzamento dei lavori. Anzi, i Gerosolimitani preferirono stabilire la loro sede all’interno dell’area urbana, e dopo aver progressivamente abbandonato il monastero, fecero costruire il primo nucleo dell’edificio che in seguito diventerà la residenza ufficiale del Balì (governatore provinciale dell’ordine Gerosolimitano). Con il passare degli anni la residenza balivale acquistò un peso notevole, tanto che lo spazio antistante il palazzetto (attuale largo Baliaggio) diventò una sorta di zona franca, non soggetta ad alcuna giurisdizione, sulla quale si poteva ottenere anche il diritto d’asilo.

Gli Svevi

(Gli Svevi)

(The Swabians)

  Con la morte di Tancredi, avvenuta nel 1194, il primo regno indipendente costituito dai normanni, in seguito alle note vicende dei passaggi parentali, passò agli Svevi. Infatti, il 1220, papa Onorio III incoronò Federico II di Svevia nuovo imperatore. Durante il periodo svevo, Venosa venne dichiarata città demaniale, cioè appartenente direttamente alla corona. Da ciò conseguirono numerosi privilegi che permasero anche nel primo periodo di dominazione angioina. Nel 1250, la morte di Federico imperatore e la fine della dinastia sveva, segnarono per Venosa l’inizio di un periodo di lunga decadenza.

La dinastia angioina

(La dinastia angioina)

(The Angevin dynasty)

  Nel 1266, con l’investitura di Carlo I d’Angiò da parte di papa Clemente IX, si ebbe il passaggio dalla dinastia sveva a quella angioina. Come innanzi accennato, nei primi decenni della dinastia angioina, Venosa, a differenza di molti altri centri urbani della Basilicata, resistette all’infeudamento, ottenendo la riconferma dei privilegi concessi dai sovrani normanni e svevi.

Il periodo feudale

(Il periodo feudale)

(The feudal period)

  Successivamente, nel 1343 con la morte di Roberto d’Angiò, i contrasti tra la corona e i baroni si acuirono, e in tale contesto, due anni dopo, nel 1345, la contea di Venosa venne infeudata e assegnata a Roberto principe di Taranto, inaugurando così la lunga serie di feudatari che si succederanno nel possesso del feudo (Sanseverino, Caracciolo, Orsini, del Balzo, Consalvo di Cordova, Gesualdo, Ludovisi, Caracciolo di Torella). Con l’infeudamento il potere politico si trasferì dalle mani del vescovo a quelle del feudatario il quale divenne arbitro unico delle sorti della città. Dopo Roberto e Filippo principe di Taranto, nel 1388 il feudo di Venosa passò a Venceslao Sanseverino, cui successe, nel 1391, Vincenzo Sanseverino. Dopo una breve parentesi nella quale la città venne concessa alla regina Margherita, moglie di re Ladislao, nel 1426 la stessa venne acquisita da ser Gianni Caracciolo, il quale dopo pochi anni la cedette nelle mani degli Orsini. Nella seconda metà del XV secolo il feudo, nel frattempo passato in dote a Maria Donata Orsini figlia di Gabriele signore di Venosa, a seguito del matrimonio della Orsini con Pirro del Balzo, venne trasmesso a questi che, nel 1458, ricevette l’investitura ufficiale del ducato di Venosa. Secondo il Cenna, Pirro del Balzo fu il feudatario che, forse anche spinto dalla necessità di sanare i danni provocati dal terremoto del 1456, diede inizio ai grandi interventi di ricostruzione del tessuto edilizio urbano che portarono, tra l’altro, alla costruzione del castello.
Dopo la morte di Pirro e la sconfitta degli Aragonesi, la città fu posseduta per un breve periodo dal gran capitano Consalvo di Cordova, dignitario di corte, originario della Spagna, che restò signore di Venosa fino all’acquisto del feudo da parte dei Gesualdo, nel 1543

Il periodo gesualdino

(Il periodo gesualdino)

(The Gesualdi period)

  A Luigi IV Gesualdo successe il figlio Fabrizio, padre di Carlo, marito di Geronima Borromeo, sorella di San Carlo, cardinale di Milano, grazie alla quale Venosa divenne principato. Nel 1581, a Fabrizio successe il figlio Carlo Gesualdo. I nuovi signori, sensibili al fascino della vita mondana, fecero di Venosa un attivo centro intellettuale, in netto contrasto, con il lento processo di emarginazione che investiva tutte le principali città della “Basilicata”. Al momento del passaggio ai Gesualdo, la città contava, secondo il Giustiniani, 695 fuochi, numero che andò progressivamente aumentando man mano che la città si riprendeva dalla pestilenza del 1503 (nel 1545 il numero dei fuochi passò a 841 e ancora nel 1561 a 1095). Con i Gesualdo Venosa visse il suo Rinascimento di piccolo e raffinato centro di cultura, una stagione irrepetibile per fervore culturale che si inaugurò con la nascita dell’Accademia dei Piacevoli (o dei Soavi) nel 1582. In tale periodo, la città vide la fioritura oltre che di una classe di intellettuali di prim’ordine, di una brillante scuola di giureconsulti capeggiata dai Maranta. La stagione si chiuse nel 1613 con la nascita, per ispirazione diretta di Emanuele Gesualdo, della seconda Accademia, detta dei Rinascenti, che ebbe vita brevissima (da marzo ad agosto), condizionata dalla prematura morte del suo mecenate. La fondazione delle Accademie e le attività da esse svolte trovarono adeguata accoglienza nelle sale della fortezza pirriana che i Gesualdo avevano provveduto a trasformare in ambienti per la corte. I lavori cominciati nel 1553, si protrassero per tutto il periodo gesualdino. Nel corso di tale periodo, precisamente nel 1607, l’equilibrio politico – sociale della città fu sconvolto dall’insorgere di violenti contrasti di natura economica esplosi tra il vescovo e il governatore della città. La durezza dello scontro, che vide la partecipazione diretta della popolazione locale al fianco del potere civile, portò alla scomunica della città. Venosa visse per cinque anni scomunicata e, solo nel 1613, per intercessione del nuovo vescovo Andrea Perbenedetti, la scomunica o, come si diceva, l’interdetto, sarà rimosso da papa Paolo V. Alla morte di Emanuele Gesualdo (1588 – 1613), seguita a pochi giorni di distanza da quella del padre Carlo, fu la primogenita Isabella ad ereditare i titoli e i beni della prestigiosa casata di ascendenze normanne. Ella sposò il nipote del papa Gregorio XV, il duca di Fiano Nicolò Ludovisi, dal quale ebbe una figlia, Lavinia, ma la prematura morte di entrambe permise al Ludovisi di incamerare il patrimonio dei Gesualdo dopo il pagamento del relevio (tipico tributo feudale).

Dai Gesualdo ai Ludovisi

(Dai Gesualdo ai Ludovisi)

(From the Gesualdo to the Ludovisi)

  Il passaggio del feudo dai Gesualdo ai Ludovisi (principi di Piombino, non risiedettero mai a Venosa) segnò l’inizio di un nuovo periodo di decadenza economica e culturale della città. La condizione di “abbandono”, già grave, ebbe un ulteriore colpo con il passaggio dei titoli e dei beni feudali da Niccolò Ludovisi al figlio Giovan Battista, avvenuto nel 1665, del quale resta il ricordo per essere stato “il più grande dissipatore del sec. XVII”. Proprio la sua cattiva gestione lo costrinse a vendere il feudo a Giuseppe II Caracciolo di Torella, insieme ai relativi proventi dei territori degli erbaggi. La vendita fu effettuata il 22 maggio 1698 presso in notaio Cirillo di Napoli.

Il secolo XVIII

(Il secolo XVIII)

(The XVIII century)

  Nel corso del secolo XVIII, sullo sfondo delle note vicende che interessarono il Viceregno, divenuto successivamente regno autonomo nel 1734, la città di Venosa permaneva in uno stato complessivamente peggiorato e di crisi acuta, testimoniato anche dal cospicuo calo del numero degli abitanti (dalla Relazione Gaudioso del 1735 si rileva che la popolazione di Venosa ammontava a circa 3000 abitanti). Tagliata fuori dai grandi circuiti produttivi e commerciali del Regno di Napoli, anche a causa del grave stato di abbandono in cui versavano le vie di comunicazione interne, a fine Settecento la città si trovava allo stadio terminale di un lungo periodo della sua storia, iniziato nella seconda metà del Seicento. Le drammatiche vicende che riguardarono il Regno di Napoli a cavallo tra la fine del Settecento e i primi decenni dell’Ottocento, come è ampiamente noto, portarono allo smantellamento delle vecchie istituzioni feudali e alla creazione di nuovi ordinamenti che trasformarono definitivamente i tradizionali assetti sociali e fondiari. In tale tumultuoso contesto, Venosa, che aveva una sua peculiare sistemazione fondiaria basata sulla tripartizione della proprietà: feudale, ecclesiastica e privata, vide sconvolto completamente il suo equilibrio economico sociale. Quindi, l’assetto ereditato dall’età feudale, caratterizzato da una forte presenza della Chiesa e delle corporazioni religiose (il censimento catastale del 1807 attribuiva alla chiesa, nel suo complesso, il 34,4% della rendita fondiaria di tutto il comune), subì un duro colpo dalle leggi di eversione e di soppressione prima, e dalle più generali operazioni di quotizzazione avviate a partire dal 1813. Nell’alveo della sostanziale continuità perseguita dalla restaurata monarchia borbonica, a Venosa le prime operazioni di quotizzazione dei demani furono alterate da brogli, corruzioni, ritardi, inadempienze e connivenze, tanto da far pensare ad un vero e proprio concertato disegno doloso. Dopo un periodo di stasi protrattosi fino al 1831, la città fece registrare un ripresa demografica, passando dai 6.264 abitanti nell’anno in corso ai 7.140 del 1843.

L’insorgenza popolare del 1848

(L’insorgenza popolare del 1848)

(The popular uprising of 1848)

  L’incremento demografico dei primi ‘800, insieme con la non mai sopita aspirazione al possesso della terra, determinò l’insorgenza popolare del 1848. La rivolta ebbe inizio alle 11 di notte del 23 aprile quando, al suono di trombe e tamburi i contadini invasero in armi le strade del paese. Nel clima arroventato che si era venuto creando, nei giorni successivi si ebbero due omicidi, oltre a numerosi soprusi e intimidazioni. La triste vicenda si concluse dopo circa un mese con il solenne impegno dei possidenti locali che, in una seduta allargata del Consiglio decurionale, sottoscrissero la cessione di un quinto di alcuni corpi demaniali, così da poter procedere alle contestuali ripartizioni. Ma, superata la fase di emergenza, si fece ritorno alle vecchie metodiche tese a ritardare l’esecuzione delle operazioni di ripartizione. Fu così che la visita di Ferdinando II in occasione del terremoto del 14 agosto del 1851 (il violento sisma provocò ingenti danni agli edifici e la morte di 11 persone), rimise in moto l’inceppata macchina burocratica, che finalmente ebbe ragione delle resistenze opposte dal patriziato locale.
Nel 1861, ancora una volta nel mese di aprile, Venosa fu teatro di un terribile episodio di violenza cittadina. Il giorno dieci alle ore 18.30, infatti, il generale Carmine Crocco alla testa di un nutrito gruppo di briganti assaltò la città che, dopo un breve tentativo di resistenza, fu invasa dalle orde dei briganti e rimase alla mercé degli stessi tre giorni prima di essere liberata dagli uomini della Guardia Nazionale. Durante l’occupazione, furono commessi numerosi eccidi, oltre a rapine e numerose violenze di ogni genere, tanto che, con deliberazione del Consiglio comunale del 23 ottobre 1861 si stabilì che “nel giorno 10 aprile alle ore 18.30 precise di ciascun anno, dal 1862 in avvenire suonino in questo comune tutte le campane mortuarie”.

L’unificazione nazionale

(L’unificazione nazionale)

(National unification)

  A partire dall’unificazione nazionale, la città, dal punto di vista urbanistico, cominciò a subire alcune trasformazioni che, successivamente, portarono alla costruzione del “quartiere nuovo” (per la prima volta dalla fondazione della colonia romana la città si proietta in aree fino a quel momento mai interessate dall’edificazione) posto nella zona di Capo le mura (attuale via Luigi La Vista) a sinistra e a destra della antica rotabile per Maschito. In tale periodo, sul finire dell’Ottocento, la città contava circa 8.000 abitanti e si apprestava a vivere un periodo di favorevole congiuntura economica, alimentata soprattutto anche dalle rimesse dei lavoratori emigrati in America Latina. Per tutto il periodo che va dagli inizi del Novecento al secondo dopoguerra, la città permase in una situazione socio – economica di sostanziale uniformità con il resto della regione, caratterizzata, come è noto, da un diffuso e consolidato arretramento.

La riforma agraria dopo la seconda guerra mondiale

(La riforma agraria dopo la seconda guerra mondiale)

(Land reform after the Second World War)

  Nel secondo dopoguerra, il vento delle riforme varate dai primi governi repubblicani investì anche Venosa che, a partire dal 1950, con l’approvazione della legge di riforma agraria, vide la progressiva parcellizzazione dell’antico latifondo costituitosi, come abbiamo visto, dopo le leggi di eversione. La Riforma diede finalmente sbocco alle tensioni dei braccianti disoccupati, costretti a vivacchiare alla mercé del padronato. Tuttavia, le mutate condizioni economiche generali del Paese spinsero gli assegnatari ad abbandonare progressivamente le quote e ad emigrare verso il Nord Italia in fase di rapida industrializzazione. Nonostante tutto, la tensione sociale, già manifestatasi in più occasioni con l’occupazione di terre incolte dopo i decreti Gullo, prima della approvazione della riforma fondiaria, non si era del tutto placata. Nell’inverno del 1956, infatti, un tragico episodio di insorgenza popolare portò alla morte, colpito da arma da fuoco, del giovane disoccupato Rocco Girasole. Negli anni successivi, la città, in linea con il trend nazionale fece registrare notevoli passi in avanti tanto da diventare la moderna e vivibile cittadina che oggi si presenta agli occhi di quanti hanno il piacere di visitarla.

Abbazia della Santissima Trinità: introduzione

(Abbazia della Santissima Trinità: introduzione)

(Abbey of the Holy Trinity: introduction)

  L'abbazia della SS. Trinità, situata all’estremo limite della città, sorge là dove un tempo era il centro politico economico della città. Essa si compone di tre parti: la chiesa antica, fiancheggiata a destra da un corpo di fabbrica avanzato che costituiva un tempo il luogo riservato ad accogliere i pellegrini (foresteria, a piano terra, monastero al piano superiore); la chiesa incompiuta, i cui muri perimetrali si sviluppano dietro la Chiesa antica e in prosecuzione sul medesimo asse; e il Battistero, probabilmente una chiesa paleocristiana con due vasche battesimali, da questa separato da breve spazio.

Abbazia della SS. Trinità: costruzione

(Abbazia della SS. Trinità: costruzione)

(Abbey of SS. Trinity: construction)

  I primi interventi di costruzione della chiesa antica, effettuati su un edificio paleocristiano risalente al V – VI secolo, a sua volta edificato sulle rovine di un tempio pagano dedicato al dio Imene, debbono farsi risalire tra la fine del 900 e gli inizi dell’anno 1000. L’impianto della chiesa è quello tipico paleocristiano: ampia navata centrale di metri 10,15 di larghezza, navate laterali rispettivamente larghe metri cinque, e abside sul fondo e cripta del tipo a “corridoio”. I muri e i pilastri appaiono decorati da affreschi databili tra il XIV e il XVII secolo (Madonna con Bambino, Santa Caterina di Alessandria, Niccolò II, Angelo Benedicente, Deposizione).

Abbazia della SS. Trinità: l’interno dell’abbazia

(Abbazia della SS. Trinità: l’interno dell’abbazia)

(Abbey of SS. Trinity: the interior of the abbey)

  All’interno, accanto agli affreschi citati, si segnalano la tomba marmorea di Aberada, moglie di Roberto il Guiscardo e madre di Boemondo eroe della prima crociata e, di fronte, la tomba degli Altavilla, testimonianza della loro devozione e del loro particolare attaccamento all’edificio religioso.

Abbazia della SS. Trinità: Il tempio incompiuto

(Abbazia della SS. Trinità: Il tempio incompiuto)

(Abbey of SS. Trinity: The unfinished temple)

  Il tempio incompiuto, il cui ingresso è sormontato da un arco semicircolare impreziosito dal simbolo dell’Ordine dei Cavalieri di Malta, si presenta di dimensioni grandiose (copre una superficie di 2073 metri quadrati). L’impianto è a croce latina con transetto molto sporgente nei cui bracci sono ricavate due absidiole orientate. L’interno è caratterizzato dalla presenza di molti conci di pietra provenienti dal vicino anfiteatro romano (epigrafe latina che ricorda la scuola gladiatoria venosina di Silvio Capitone, un bassorilievo raffigurante una testa di Medusa, ecc.). La crisi in cui precipitò il monastero benedettino subito dopo l’inizio dei lavori di ampliamento, fu certamente la causa della interruzione degli stessi che non vennero mai portati a termine. Di fronte all’ingresso si notano i resti di un ampio muro curvilineo; è quanto oggi rimane del Battistero o più probabilmente di un edificio basilicale con due vasche battesimali.

Catacombe ebraico-cristiane (III-IV secolo)

(Catacombe ebraico-cristiane (III-IV secolo))

(Jewish-Christian catacombs (3rd-4th century))

  Le Catacombe ebraiche si trovano nei pressi della collina della Maddalena, a poco più di un chilometro di distanza dalla città. Si articolano in vari nuclei di notevole interesse storico e archeologico. Una fila di grotte scavate nel tufo e in parte franate, preannuncia la presenza delle Catacombe Ebraiche e Paleocristiane. All’interno si trovano loculi parietali e nel suolo. Le nicchie (arcosolii) contengono due o tre tombe oltre a loculi laterali per bambini. Esse furono scoperte nel 1853 (la documentazione completa relativa alla scoperta è conservata nell’archivio storico) e presentavano segni indelebili di saccheggio e di devastazione. In fondo alla galleria principale svoltando a sinistra si segnalano numerose epigrafi (43 del III e del IV secolo) in lettere dipinte di rosso o graffite. Di queste, 15 sono in lingua greca, 11 in lingua greca con parole ebraiche, 7 in lingua latina, 6 in lingua latina con parole ebraiche, 4 in lingua ebraica, e altre 4 sono in frammenti.
Nel 1972 un altro sepolcreto fu scoperto nella collina della Maddalena, la Catacomba Cristiana del IV secolo, il cui ingresso originario era posto a circa 22 metri dal piano del sentiero che porta alla Catacomba Ebraica. Nel corridoio di accesso in quell’occasione furono rinvenuti 20 arcosoli, 10 per parete, oltre a parti di lucerne ed una intera di argilla rossa del tipo così detto a perline risalente al IV – II secolo a. C. Fu ritrovata, inoltre, una lucerna di argilla chiara, caduta da una nicchietta, di tipo mediterraneo ed una lastra sepolcrale attribuita all’anno 503

La comunità ebraica

(La comunità ebraica)

(The Jewish community)

  La comunità ebraica, il cui nucleo originale era quasi sicuramente ellenistico, come si rileva dalle epigrafi, era per lo più costituita da commercianti e da proprietari terrieri. Non pochi suoi esponenti assunsero importanti cariche nel governo cittadino. Anche a Venosa gli ebrei concentravano nelle loro mani il potere economico, detenendo il monopolio del commercio del grano, dei tessuti e della lana

Il castello ducale del Balzo (XV secolo)

(Il castello ducale del Balzo (XV secolo))

(The ducal castle of Balzo (15th century))

  Nel punto dove è posto il castello, vi era in precedenza l’antica Cattedrale dedicata a S. Felice, il Santo che, secondo la tradizione, subì il martirio a Venosa all’epoca dell’Imperatore Diocleziano. L’antica Cattedrale fu abbattuta per far posto alla fortificazione quando, nel 1443, Venosa venne portata in dote da Maria Donata Orsini, figlia di Gabriele Orsini principe di Taranto, a Pirro del Balzo, figlio di Francesco duca di Andria. I lavori di costruzione del Castello, incominciati nella seconda metà del XV secolo, proseguirono per alcuni decenni. L’aspetto originario era ben lontano da quello odierno: si presentava, infatti, come una fortificazione a pianta quadrata, difesa da una cinta muraria dello spessore di 3 metri, con torri cilindriche angolari, privo degli stessi bastioni che furono completati nella metà del secolo successivo. Nato come postazione difensiva, successivamente, con i Gesualdo divenne dimora del feudatario.

Il castello ducale: Dai Ludovisi ai Caracciolo

(Il castello ducale: Dai Ludovisi ai Caracciolo)

(The ducal castle: From the Ludovisi to the Caracciolos)

  Passato ai Ludovisi come bene del feudo, esso venne completamente abbandonato, e la violenza delle scosse sismiche che ripetutamente si abbatterono nel corso di tutto il Seicento ne minarono la struttura e la funzionalità. I Caracciolo, (successori nel feudo ai Ludovisi), provvidero alla ricostruzione con l’aggiunta di parti, come l’elegante loggiato al piano nobile, nell’intento di riaffermare il potere signorile sulla città sempre più lontana dai vasti del glorioso passato.
L’ingresso originario non era quello attuale, esso si apriva sul lato nord - est, ed era munito di ponte levatoio. Attualmente, all’inizio del ponte di accesso, vi sono due teste di leone provenienti dalle rovine romane: elemento ornamentale tipico e ricorrente in una città che nel passato ha fatto largo uso di materiale di spoglio. All’interno del Castello, nel cortile si affaccia il loggiato a pilastri ottagonali del secolo XVI.

Casa di Orazio

(Casa di Orazio)

(House of Horace)

  Sito risalente al I secolo d. C. meglio nota come Casa di Quinto Orazio Flacco. Una struttura costituita da ambienti termali di una casa patrizia, composti da una sala rotonda che costituiva il calidario e di un attiguo vano rettangolare. La facciata mostra visibili tratti di strutture romane rivestiti di mattoni a struttura reticolata

Mausoleo del Console Marcus Claudius Marcellus

(Mausoleo del Console Marcus Claudius Marcellus)

(Mausoleum of Consul Marcus Claudius Marcellus)

  Tomba ubicata lungo una parallela dell’attuale via Melfi. E’ impossibile sapere il suo stato originario per quanto riguarda la forma e le dimensioni. Nel 1860, alla base della stessa fu rinvenuta un’urna cineraria in piombo che, aperta, mostrò, sul fondo, uno strato basso polveroso; ciò che rimaneva dei resti umani di un personaggio della Venusia romana della fine del I secolo a.C. – primi decenni del I secolo d. C. In tale circostanza furono trovati, inoltre, alcuni frammenti di vetro un pettine e un anellino d’argento.

Il Baliaggio (baliato) e il Balì (balivo)

(Il Baliaggio (baliato) e il Balì (balivo))

(The Baliaggio (bailiwick) and the Balì (bailiff))

  Il Baliaggio (baliato) è l’area di giurisdizione di un balivo. Balivo (dal latino baiulivus, forma aggettivale di baiulus, "portatore") è il nome di un funzionario, investito di vari tipi di autorità o giurisdizione, presente soprattutto nei secoli passati in numerosi paesi occidentali, principalmente europei. Balì è anche il titolo di membri di alto grado di alcuni ordini cavallereschi, fra cui quello di Malta.

Dai benedettini agli Spedalieri

(Dai benedettini agli Spedalieri)

(From the Benedictines to the Spedalieri)

  Fu verso la fine del secolo XIII, nel settembre del 1297, durante il Magistero di Guglielmo di Villaret, che papa Bonifacio VIII, considerando che l'Ordine aveva perso molti beni Palestina, per consentirgli di poter continuare la sua opera, con Bolla emanata da Orvieto il 22 settembre unì alla Mensa Magistrale la Abbadia della SS. Trinità di Venosa che, col Monastero, apparteneva ai monaci benedettini.
In seguito a tale cessione il Gran Consiglio, a mezzo del suo Gran Maestro, dispose che tutti i beni della cessata Abbadia fossero amministrati e retti dal maestro percettore generale degli Spedalieri al di quà del Faro, Frà Bonifacio di Calamandrana.
Fu in seguito stabilito che questo ricchissimo patrimonio, prima trasformato in Commenda e poi in Baliaggio, secondo le norme interne dell’Ordine, dovesse essere amministrato da dignitari quali delegati del Gran Maestro, a disposizione del quale e dello stesso Ordine dovessero essere rese le rendite.

Le rendite

(Le rendite)

(The annuities)

  Le rendite, nei casi normali, dovevano essere impiegate per la gestione dell'Ospedale di S. Giovanni di Gerusalemme e per il sostentamento dei religiosi che celebravano “i divini offici” e accudivano al culto della SS. Trinità.
La citata bolla di Bonifacio VIII stabiliva, tra le altre cose, la costituzione di un Capitolo poi diventata “Baliaggio”, formato da 12 frati cappellani appartenenti all’Ordine giovannita, cui era assegnato il compito di mantenere ed esercitare, nella balivale chiesa della SS. Trinità, il culto divino e per assolvere agli obblighi dei legati con la celebrazione e dei sacri uffici in suffragio delle anime degli antichi fondatori.
Il patrimonio, era composto da vasti corpi demaniali, entrate in pascoli, censi e altre prestazioni e canoni, di varie regalie, diritti e giurisdizioni feudali su diverse terre, casali, castelli e città sparse in Basilicata, Capitanata, Terra di Bari, Terra di Otranto e Valle di Grati in Calabria. Ebbe in questo modo la sua prima configurazione fino a quando il Gran Magistero non credette opportuno smembrarlo per formarne una grande Commenda, poi diventata Baliaggio, e diverse piccole Commende di varia entità a beneficio di semplici commendatori.
La stabile presenza del dignitario che esercitava la sua autorità da monastero annesso all’Abbazia della Ss. Trinità, con tutto l’apparato dei frati cappellani, e chierici, determinarono un periodo di rinnovato splendore per l’Abbazia. In questa prima residenza i dignitari, poi “Balì”, dimorarono per oltre cento anni, circondati dal rispetto e dalla devozione della popolazione locale.

XV secolo, il Baliaggio (bailato) diventa autonomo

(XV secolo, il Baliaggio (bailato) diventa autonomo)

(XV century, the Baliaggio (Bailiwick) becomes autonomous)

  A partire dalla seconda metà del XV secolo, in pieno periodo aragonese, la commenda di Venosa, non più dipendente dal priorato di Barletta, assunse al rango di vero e proprio baliaggio, perché i dignitari incaricati della sua amministrazione erano anche balì di Gran Croce, quindi membri effettivi del Gran Consiglio Magistrale dell’Ordine, e di fatto aspiranti al titolo di Gran Maestro. Ragion per cui, il “balì” per il proprio status ebbe la speciale concessione di essere assimilato nelle prerogative, dignità e preminenze ai Priori monastici.
In questo periodo, quasi sicuramente, si effettuò il trasferimento di tutta la struttura amministrativa e di rappresentanza dal monastero alla nuova sede, «un nobile Palazzo in mezzo della nuova città», dove il Balì poteva difendere meglio i propri interessi e quelli più generali dell’Ordine. Il Palazzo secondo una descrizione successiva del canonico, Giuseppe Crudo, ricavata dalla consultazione di documenti ormai scomparsi, era situato nel tenimento dell’allora parrocchia S. Martino, nel cuore della Città, provvisto di atrio coperto e cortile, di magazzini e scuderie, di pozzo e cantine, con annessa una cappella interna e una esterna, con appartamenti imponenti ai piani superiori.

Nel corso di questi anni la cronaca, ci consegna esempi di eroismo da parte di alcuni Balì di Venosa, come il caso di frà Consalvo Vela, impegnato nella strenua difesa dell’Isola di Rodi, allora sede del Gran Magistero, assediata dalle armi del Sultano Maometto II. Ad un altro Balì di Venosa, fra Leonardo di Prato da Lecce, illustre cavaliere, uomo d’armi e abile diplomatico, in precedenza a servizio della Repubblica di Venezia, si deve la temporanea pacificazione con le armate musulmane.

La ristrutturazione amministrativa: i cabrei (gli inventari)

(La ristrutturazione amministrativa: i cabrei (gli inventari))

(Administrative restructuring: the cabrei (inventories))

  Nel 1521 il Gran Maestro Villers de l’Isle Adam decise di avviare una profonda ristrutturazione delle strutture periferiche dell’Ordine.
Dispose quindi che i titolari dei baliaggi e commende, fossero obbligati a compilare, ogni venticinque anni, un inventario di tutti i beni, mobili e immobili, sottoposti alla loro amministrazione.
Questi inventari, detti Cabrei, (il catasto dei beni dell’Ordine di Malta) nel Regno di Napoli venivano redatti in forma pubblica e venivano autorizzati dal delegato dell’Ordine che sedeva nel Sacro Regio Consiglio.
Già a partire dal XVI secolo i cabrei erano corredati da mappe che raffiguravano non solo i fondi rustici, ma anche il patrimonio edilizio. In ragione di ciò, essi rappresentano una fonte straordinaria per lo studio e la conoscenza delle dinamiche locali delle singole unità “amministrative” e per la stessa conoscenza della cronologia dei dignitari succedutisi nel corso dei secoli.

Il Cabreo Cicinelli

(Il Cabreo Cicinelli)

(The Cicinelli Cabreo (the Cicinelli inventory))

  In particolare nel Cabreo Cicinelli (del quale è possibile vedere qui sotto alcune immagini), dal nome del balì frà don Giuseppe Maria Cicinelli (Nobile patrizio napoletano, che prese possesso del Palazzo nel 1773) che lo commissionò all’agrimensore di Venosa Giuseppe Pinto, è riportata la descrizione precisa del palazzo balivale, e ricaviamo l’effettivo assetto della proprietà fondiaria del Baliaggio, con le relative rendite.

Napoleone e il decennio francese

(Napoleone e il decennio francese)

(Napoleon and the French decade)

  Alcuni anni dopo, nel 1798, Napoleone Bonaparte impegnato nella campagna d'Egitto, riuscì a espugnare l’isola di Malta, a impadronirsi di tutti i beni dell'Ordine e a decretarne la soppressione.
Successivamente, nel corso del cosiddetto decennio francese, nell’ambito della più ampia operazione di riforma varata tra il 1806 e il 1808, furono soppressi anche i Priorati e quindi abolito e soppresso anche il Baliaggio di Venosa, i cui beni mobili e immobili furono assegnati dapprima al Real Demanio e di seguito andarono formare la dotazione dell’Ordine Reale delle Due Sicilie.
Alla Chiesa della SS. Trinità fu mantenuto il culto, ma il suo progressivo stato di abbandono la rese a poco a poco inutilizzabile, anche se era stata posta sotto la regia tutela, come Chiesa di Juspatronato Regio (chiesa con protezione reale). Finiva così la lunga stagione di presenza dei Cavalieri Giovanniti a Venosa.

La Biblioteca Civica “Monsignor Rocco Briscese”

(La Biblioteca Civica “Monsignor Rocco Briscese”)

(The "Monsignor Rocco Briscese" Civic Library)

  La biblioteca civica dispone di un patrimonio librario che si aggira intorno alle 20.000 unità bibliografiche, tra le quali circa 1000 volumi tra manoscritti e libri antichi (cinquecentine, seicentine, edizioni del XVIII secolo). Al suo interno è costituita la Sezione Oraziana, con circa 500 volumi e 240 microfilm donati dalla Regione Basilicata nel 1992 in occasione del Bimillenario della morte del Poeta Quinto Orazio Flacco. Conserva, inoltre, la raccolta completa delle leggi e dei decreti del Regno delle due Sicilie, oltre alla collezione delle prammatiche ferdinandee del XVIII secolo.

Informazioni sulla fruizione della Biblioteca

(Informazioni sulla fruizione della Biblioteca)

(Information on the use of the Library)

L'Archivio Storico

(L'Archivio Storico)

(The Historical Archive)

  Ubicato nei locali del Castello ducale del Balzo, l’Archivio Storico del Comune di Venosa è costituito da circa 600 pezzi tra cartelle, volumi e registri, per un complessivo numero di circa 8000 unità archivistiche, con le seguenti date estreme 1487 - 1965. Esso dispone di strumenti inventariali e di mezzi di corredo. Include: Archivio Professor Annibale Cogliano, Archivio privato senatore Vincenzo Leggieri, Archivio Privato monsignor Rocco Briscese.

Museo Archeologico Nazionale di Venosa

(Museo Archeologico Nazionale di Venosa)

(National Archaeological Museum of Venosa)

  Inaugurato nel novembre del 1991. Al suo interno, il percorso museale si snoda attraverso una serie di sezioni che illustrano le varie fasi di vita della città antica, a partire dal periodo precedente la romanizzazione, documentato da ceramica a figure rosse e da materiali votivi (terrecotte, bronzi tra cui un cinturone) di IV – III sec. a.C. provenienti dall’area sacra di Fontana dei Monaci di Bastia (odierna Banzi) e da Forentum (oggi Lavello). Dominano questa sezione il corredo funerario di un bambino, contenente la statuetta del toro Api, ed il famoso askos Catarinella con scena di corteo funebre (fine IV – III sec. a.C.). Nei camminamenti del castello si ripercorre la vita dell’antica Venusia dal momento della sua fondazione, con la ricostruzione dell’impianto urbano e i più importanti documenti della fase repubblicana (le terrecotte architettoniche, la produzione ceramica a vernice nera, gli ex – voto dalla stipe sotto l’anfiteatro, la ricca monetazione in bronzo). Molto significativa e consistente si presenta la raccolta epigrafica che permette di ripercorrere le tappe più importanti della storia del centro antico, come il riassetto della colonia nel I secolo a. C., ben rappresentate dal tempio augurale bantino (Dell’antica città di Banzia ai confini dell’Apulia e della Lucania), ricostruito nel Museo, con cippi iscritti per trarre gli auspici, e da un frammento della famosa Tabula bantina, con testi legislativi su entrambi i lati, rinvenuto nei pressi di Oppido Lucano nel 1967. Le epigrafi, alcune delle quali ricordano magistrati impegnati nel rifacimento di strade o nella costruzione di infrastrutture come l’acquedotto, sono soprattutto di carattere funerario con un notevole numero di cippi iscritti, stele centinate, coperchi di arca (la c.d. “arca lucana”), monumenti funerari con busti e statue a grandezza naturale e ricchi fregi dorici, che dal I a. C. fino al IV secolo d. C. costituiscono una preziosa testimonianza della stratificazione sociale della città.

Museo del Paleolitico. Sito Paleolitico di Notarchirico.

(Museo del Paleolitico. Sito Paleolitico di Notarchirico.)

(Paleolithic Museum. Paleolithic site of Notarchirico.)

  Ci si arriva percorrendo la Strada Provinciale Ofantina all’altezza del passaggio a livello Venosa Spinazzola, e poi imboccando la Strada Statale 168 dopo il bivio per Palazzo San Gervasio, a circa nove chilometri dalla città moderna, in un’area collinare che si estende fino alle grotte artificiali di Loreto. E’ costituito da un’area museale coperta allestita e affidata dall’Istituto Paleolitico Luigi Pigorini di Roma. La scoperta delle prime testimonianze della presenza umana in epoca protostorica, si devono alla passione e alla capacità scientifica dell’avv. Pinto e del prof. Briscese che, nell’estate del 1929, effettuarono le prime ricognizioni sul territorio, portando alla luce i primi significativi reperti. Le successive campagne di scavo hanno consentito di ritrovare una serie di frammenti dell’uomo preistorico oltre a numerosi resti di animali ora estinti (elefante antico, bisonte, bue selvatico, rinoceronte, cervidi, ecc.).
Fra gli strumenti rinvenuti si ricordano i bifacciali. Un cranio di Elephas anticuus è stato ritrovato durante gli scavi del 1988. Le ricerche proseguono da parte della Soprintendenza Speciale in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica della Basilicata, con l’Università di Napoli “Federico II” e con il Comune di Venosa. Nel settembre del 1985 è stato ritrovato un femore umano frammentario fortemente fossilizzato attribuito ad un individuo femminile di età adulta. Il femore appartenuto probabilmente ad un Homo erectus, è il più antico resto umano ritrovato nell’Italia Meridionale e presenta alcuni aspetti patologici, studiati dal prof. Fornaciari, consistenti in una neoformazione ossea, forse il risultato di una osteoperiostite conseguente ad una ferita profonda alla coscia subita dall’individuo in vita. Il femore è stato dato in studio ai laboratori dell’Istituto di Paleontologia Umana di Parigi e la sua datazione, attribuita usando il metodo del disequilibrio della serie dell’uranio, risale a circa 300.000 anni fa.

Parco Archeologico (Domus, Terme, Anfiteatro, Battistero Paleocristiano)

(Parco Archeologico (Domus, Terme, Anfiteatro, Battistero Paleocristiano))

(Archaeological Park (Domus, Terme, Amphitheater, Paleochristian Baptistery))

  Nella parte orientale della città (tra le attuali chiese di San Rocco e SS. Trinità). Essi sono attribuibili al periodo traiano-adrianeo, periodo di intensa attività edilizia, specie nel settore pubblico. Degli ambienti termali nel loro complesso restano le tracce un Tepidarium (la parte delle antiche terme romane destinata ai bagni in acqua tiepida)con i piastrini in mattoncini che sostenevano il solaio di calpestio e le tracce di un frigidarium ( la parte delle antiche terme romane dove potevano essere presi bagni in acqua fredda) che presenta una pavimentazione musiva a motivi geometrici e zoomorfi. Vi sono numerose testimonianze delle numerose domus (case) private, probabilmente risalenti al periodo della deduzione coloniale del 43 a.c., edificate su alcune fornaci di età repubblicana e ristrutturate agli inizi del I secolo dopo Cristo,
Sulla parte opposta della strada che taglia in due l’area archeologica sorgeva l’Anfiteatro. Senza dubbio l’edificio pubblico che meglio rappresenta la Venosa romana. La sua costruzione può farsi risalire all’età giulio-claudia(repubblicana), per le parti in muratura in opera reticolata, ad una fase più tarda risalente all’età traiana-adrianea (imperiale) per l’opera muraria mista. Sul modello degli altri anfiteatri costruiti nel mondo romanizzato, si presentava in forma ellittica con i diametri che misuravano all’incirca m. 70 x 210. Queste dimensioni, secondo alcuni calcoli, consentivano una capienza approssimativa di 10.000 spettatori. Con il declino della Venusia romana, l’anfiteatro fu letteralmente smontato pezzo per pezzo e i materiali sottratti furono utilizzati per qualificare l’ambiente urbano della città. Alcuni leoni in pietra che attualmente troviamo all’interno dell’abitato, provengono infatti, dalle rovine dell’anfiteatro.

Fontana Angioina o dei Pilieri (XIII secolo)

(Fontana Angioina o dei Pilieri (XIII secolo))

(Angevin or Pilieri Fountain (13th century))

  Lo splendido monumento deve la sua origine al privilegio concesso alla città da re Carlo II d’Angiò nell’anno 1298, con il quale, tra le altre cose, veniva istituito un corpo di ispettori locali, incaricati oltre che della manutenzione della fontana, anche del controllo degli acquedotti che la alimentavano. Essa è situata nel luogo dal quale, fino al 1842, si accedeva alla città attraverso la porta cittadina detta appunto “Fontana”. Alle sue estremità sono posti due leoni in pietra provenienti dalle rovine romane (il primo pressoché integro, tiene sotto la zampa una testa di montone).

Fontana di Messer Oto (XIV secolo)

(Fontana di Messer Oto (XIV secolo))

(Messer Oto Fountain (14th century))

  Edificata tra il 1313 e il 1314, a seguito del privilegio concesso dal re Roberto I d’Angiò con il quale si consentiva alla città di avere le fontane nel centro abitato. Essa è dominata dalla mole imponente di un leone in pietra di origine romana.

Fontana di San Marco

(Fontana di San Marco)

(Fountain of San Marco)

  La sua esistenza è documentata a partire dalla prima metà XIV secolo e la sua costruzione si suppone si deve al privilegio concesso da re Roberto con il quale si consentiva alla città di avere le fontane nel centro abitato. E’ detta di San Marco perché si ergeva di fronte alla chiesa omonima.

Palazzo del Capitano o del Comandante (XVII secolo)

(Palazzo del Capitano o del Comandante (XVII secolo))

(Palace of the Captain or Commander (17th century))

  Si distingue per la singolarità dell’impianto tipologico e per il pregio architettonico che è dato dal parametro di pietra che lo riveste. Il grande edificio, inserito nel contesto urbano del quartiere di S. Nicola, viene costruito sul filo dello strapiombo del vallone del Ruscello si affaccia la sua facciata principale. Le arcate cieche che sorreggono le strutture affacciate sul vallone, percepibili anche da molta distanza, costituiscono l’espressione di una notevole capacità costruttiva.

Palazzo Calvini (XVIII secolo)

(Palazzo Calvini (XVIII secolo))

(Calvini Palace (XVIII century))

  In forma classicheggiante appartenuto alla famiglia Calvini, dal 1876 è sede del Municipio. Una testimonianze di notevole interesse storico, con la facciata ben simmetrica e proporzionata. Sulla scalinata una tavola marmorea (Fasti Municipali) di considerevoli dimensioni riporta i nomi dei magistrati che a Venosa si succedettero in epoca romana dal 34 al 28 a.C. Elementi architettonici interessanti del palazzo sono anche il portale e i mascheroni in pietra inseriti nella facciata del palazzo.

Palazzo Rapolla (XIX secolo)

(Palazzo Rapolla (XIX secolo))

(Rapolla Palace (19th century))

  Ubicato sull’angolo degli attuali vico Sallustio e vico San Domenico occupa un intero isolato. Noto per aver dato ospitalità a Ferdinando II di Borbone e al brigante Crocco. Sul retro dell’edificio principale si trova un vasto cortile su cui si affacciano una serie di ambienti che erano adibiti a stalle, granai, magazzini per la raccolta di sale e per la polvere da sparo. Il cortile accessibile da un ampio portale che consentiva il passaggio dei carri da trasporto, costituisce un singolare spazio di caratterizzazione della morfologia urbana. All’epoca i Rapolla erano i più grandi proprietari terrieri della zona e avevano la loro residenza nel palazzo omonimo situato accanto al Convento di San Domenico.

Palazzo Dardes

(Palazzo Dardes)

(Dardes Palace)

  Fu costruito in seguito alla ristrutturazione del tracciato stradale (attuale via De Luca) che converge nella piazza della Cattedrale, che con la costruzione del palazzo Vescovile, ha accresciuto il proprio peso all’interno della struttura urbana. Il palazzo è caratterizzato da un cortile di ingresso (cui si accede attraverso un portale) che reca, sul concio di chiave, uno stemma ecclesiastico in pietra finemente scolpito intorno al quale si organizzano gli ambienti disposti su due piani. L’innovazione è data dalla presenza di un loggiato al piano superiore che si apre sia sulla corte che sul fronte di affaccio alla strada. Il motivo architettonico della loggia assume notevole rilievo estetico. (La loggia è un elemento architettonico, aperto integralmente almeno su un lato, come una galleria o un portico, spesso rialzato e coperto, e in genere sostenuto da colonne e archi. Può essere pervia (praticabile) oppure avere soltanto funzione decorativa. Diffusa nell'architettura italiana, soprattutto della seconda metà del Cinquecento e del Seicento, le logge si trovano sopratutto al pianterreno, ma talvolta anche al primo piano (fungendo così da balconi o terrazze); due logge sovrapposte, una al pianterreno e l'altra al primo piano, formano una loggia doppia)

Palazzo Episcopale

(Palazzo Episcopale)

(Episcopal Palace)

  Annesso alla Cattedrale, il palazzo episcopale è uno degli interventi più significativi realizzati nel corso del XVII secolo. La facciata, non molto elevata, è segnata dalle grandi finestre del piano superiore e da due portali sormontati da stemmi ed epigrafi. Il più antico porta la data del 1620, l’altro, il principale, lavorato a bugne, (tecnica caratterizzata da blocchi di pietra sovrapposti a file sfalsate preventivamente lavorate in modo che i giunti orizzontali e verticali risultino scanalati ed arretrati rispetto al piano di facciata della muratura, con un effetto aggettante di ogni singolo blocco), porta la data del 1639.

Palazzo del Balì (balivo)

(Palazzo del Balì (balivo))

(Palazzo del Balì (bailiff palace))

  Nucleo originale risalente al XIV secolo. Riadattata a edificio moderno nel XIX secolo. Costruito tra la seconda metà XV e la prima metà del XVI secolo, e restaurato nel 1500 dal Balì Frate Arcidino Gorizio Barba. Sull’intera area antistante il palazzo, delimitata a quell’epoca da un perimetro di colonnine con in cima la croce di Malta in metallo, collegate tra loro con catene, vigeva il diritto d’asilo. Dopo la soppressione dell’Ordine avvenuta nel periodo napoleonico, i beni del Baliaggio di Venosa, tra i quali il palazzo balivale, passarono al demanio dello Stato. Il palazzo, diviso, in lotti, fu venduto a diversi proprietari. Nella seconda metà dell’800, unificato nella sua struttura originale da un unico proprietario, il sacerdote Giuseppe Nicola Briscese, fu da quest’ultimo donato al fratello Mauro che, nel 1894, provvide al rifacimento e alla ristrutturazione dell’intero edificio e della facciata. Oggi, dopo una serie di vicissitudini, ritornato all’antico splendore, è adibito a residenza alberghiera.

Cattedrale di Sant’Andrea apostolo (XVI secolo)

(Cattedrale di Sant’Andrea apostolo (XVI secolo))

(Cathedral of Sant'Andrea Apostolo (16th century))

  Edificata a partire dal 1470, e per oltre un trentennio, essa fu innalzata nel punto i cui sorgeva l’antica chiesa parrocchiale di San Basilio, al centro di un’ampia piazza che ospitava officine di fabbri e molte botteghe di artigiani, poi demolite per far posto al sacro edificio cui è annesso il campanile. Il campanile è alto 42 metri a tre piani cubici e due a prisma ottagonali, una cuspide piramidale con grande sfera metallica in cima, sormontata da una croce con banderuola. Il materiale per la costruzione, fu preso dall’Anfiteatro Romano e questo spiega il motivo delle iscrizioni latine, e pietre funerarie. Con il vescovo Perbenedetti a capo della diocesi dal 1611 al 1634, (di cui si notano i due stemmi), si arrivò alla messa in opera delle campane, molto probabilmente nel 1614 in coincidenza con lo svolgimento del primo sinodo diocesano.

Cattedrale di Sant’Andrea apostolo: l'impianto della chiesa

(Cattedrale di Sant’Andrea apostolo: l'impianto della chiesa)

(Cathedral of Sant'Andrea Apostolo: the layout of the church)

  L’impianto della chiesa è costituito da tre navate modulari da archi a sesto acuto. L’edificio di notevole mole non offre all’esterno particolari caratteristiche, se non nel tratto posteriore, in corrispondenza della zona presbiterale. Nella chiesa alcune insegne dei del Balzo occupano in un cartiglio la sommità delle arcate. Nella cripta si trova il monumento funebre di Maria Donata Orsini moglie di Pirro del Balzo. A sinistra dell’ingresso principale in alto sono murati i bassorilievi rappresentanti tre simboli degli evangelisti: il leone, il bue, il librone in scrittura molto primitiva. Vi sono anche alcune cappelle, tra le quali si segnala quella del SS. Sacramento, il cui arco d’ingresso risale al 1520. Essa ha due affreschi di soggetti biblici: Giuditta e Oloferne, e Davide e Golia.

Chiesa San Filippo Neri, detta del Purgatorio (XVII secolo)

(Chiesa San Filippo Neri, detta del Purgatorio (XVII secolo))

(Church of San Filippo Neri, known as del Purgatorio (17th century))

  La Chiesa fu edificata per volontà del vescovo Francesco Maria Neri (1678 – 1684). Si evidenzia la caratteristica del campanile che fa corpo con la bella e sobria facciata, tutta fregi, volute, nicchie e pinnacoli, opera si suppone, di un architetto romano, fatto venire a Venosa verso il 1680 dal Cardinale Giovanni Battista De Luca, all’epoca uditore di Papa Innocenzo XI. Nell’interno si trovano belle colonne tortili ed un San Filippo dipinto attribuito a Carlo Maratta (1625 – 1713).

Chiesa di San Martino dei Greci (XIII secolo)

(Chiesa di San Martino dei Greci (XIII secolo))

(Church of San Martino dei Greci (13th century))

  Antica dipendenza urbana del Monastero italo-greco di San Nicola di Morbano, di extramoenia (fuori dalle mura), venne edificata intorno alla seconda metà del XIII secolo. Dopo la soppressione di San Nicola, alla stessa furono annessi i titoli e possessi relativa alla Commenda di Morbano. Nel 1530 venne unita al Capitolo della Cattedrale e rimase parrocchia fino al 1820. Presenta un portale ornato da capitelli di tipo corinzio e nell’interno una antica tavola bizantina (oggi temporaneamente trasferita in cattedrale), raffigurante la Madonna dell’Idria. Il portale della sacrestia porta l’insegna del giglio di Francia. In questa antica chiesa è custodito anche un bel dipinto raffigurante Santa Barbara, patrona e protettrice dei minatori e degli artiglieri.

Chiesa di San Michele Arcangelo (XVI secolo), già intitolata a San Giorgio

(Chiesa di San Michele Arcangelo (XVI secolo), già intitolata a San Giorgio)

(Church of San Michele Arcangelo (16th century), formerly dedicated to San Giorgio)

  I lavori di edificazione della chiesa, con annessa la torre detta di Monsignore, iniziarono presumibilmente nel 1613, quando i patrizi genovesi fratelli Orazio e Marco Aurelio, della famiglia Giustiniani, originari dell’isola greca di Chio, a seguito della istituzione della nuova commenda di San Giorgio di Chio, dell’Ordine gerosolimitano, volendo rendere la nuova commenda conforme allo schema classico fecero costruire la chiesa di San Giorgio, che sarebbe stata il “capo” della commenda, e una “buona casa che sarà comoda da abitazione per la residenza del Commendatore”. La chiesa, già sul finire del XVII secolo cambiava intitolazione in San Michele e la torre di Monsignore veniva adibita a residenza estiva del vescovo. Al momento non siamo in grado di fornire le motivazioni di questo cambio di intitolazione della chiesa, ma è evidente che la comune origine iconografica dei due Santi “soldati di Cristo” che brandiscono l’arma contro il satanasso, va comunque presa in considerazione.

Chiesa di San Domenico (XVIII secolo)

(Chiesa di San Domenico (XVIII secolo))

(Church of San Domenico (XVIII century))

  Edificata per volere di Pirro del Balzo allora duca di Venosa. Si presenta profondamente rimaneggiata rispetto al disegno originario, per i gravissimi danni subiti dal tragico terremoto del 1851 quando, dovette essere riedificata con le elemosine dei fedeli e grazie alla generosità di Ferdinando II di Borbone, come ricorda una lapide murata all’interno. Di notevole interesse è il trittico marmoreo inserito nella facciata.

Chiesa di San Rocco (XVI secolo)

(Chiesa di San Rocco (XVI secolo))

(Church of San Rocco (16th century))

  Fu edificata nel 1503, quando la città fu colpita dalla pestilenza, in onore del santo che da quella terribile sciagura l’avrebbe poi liberata. Successivamente fu ricostruita dopo il terremoto del 14 agosto del 1851.

Chiesa di San Biagio (XVI secolo)

(Chiesa di San Biagio (XVI secolo))

(Church of San Biagio (16th century))

  Risalente al XVI secolo, fu costruita probabilmente sui resti di un precedente edificio religioso. Malgrado le sue non ragguardevoli dimensioni, risulta essere uno degli episodi architettonici più significativi nel processo di riqualificazione dell’ambiente urbano avviato in quel periodo. Chiusa al culto da diversi decenni, offre al visitatore una facciata di particolare interesse dovuto alla presenza di robuste semicolonne ad essa addossate, oltre al portale a bugne alternate sormontato da un frontone a dalle numerose modanature della cornice. Particolarmente interessanti sono i medaglioni in pietra tenera laterali raffiguranti lo stemma di Pirro del Balzo e lo stemma dei principi Ludovisi.

Chiesa di San Giovanni (XVI secolo)

(Chiesa di San Giovanni (XVI secolo))

(Church of San Giovanni (16th century))

  Edificata probabilmente su una preesistente piccola chiesa medievale. Le prime notizie della sua esistenza risalgono al 1530. Risulta essere stata completamente rifatta nella seconda metà del secolo XIX, a seguito terremoto del 1851. Si segnala lo splendido campanile a cuspide (coronamento, di forma triangolare o piramidale, di un edificio o di una sua parte.)

Monastero della Madonna delle Grazie (XV/XVI secolo)

(Monastero della Madonna delle Grazie (XV/XVI secolo))

(Monastery of the Madonna delle Grazie (15th / 16th century))

  Edificata nel 1503 e consacrata nel 1657, l’originaria ubicazione era a circa duecentocinquanta passi dalle mura della città, lungo il tracciato dell’antica Via Appia. Nel 1591, a seguito dei lavori di ampliamento della stessa, fu fondato il convento dei frati minori dei Cappuccini. Il convento fu eretto sotto il titolo di San Sebastiano, secondo la povera forma cappuccina. Le celle erano 18 oltre una stanzetta esterna utilizzata per alloggiare i pellegrini. I frati del convento vivevano di elemosine del popolo venosino e dei paesi circostanti. Il convento venne ampliato nel 1629 con l’aggiunta di 5 nuove celle con una spesa di circa 200 ducati. Fu definitivamente abbandonato nel 1866 a seguito della emanazione delle norme di soppressione degli ordini religiosi. La chiesa era riccamente decorata con stucchi ed affreschi; al centro della volta a botte della navata centrale vi era rappresentato il “Giudizio di Salomone”, mentre nelle lunette laterali vi erano affrescati i santi francescani ed il Cristo Redentore. Dopo l’abbandono del convento da parte dei padri Alcantarini, subentrati ai cappuccini nell’ultimo periodo, dell’edificio venne utilizzato solo lo spazio di culto occupato dalla chiesa. A partire dai primi anni del XX secolo, il convento venne utilizzato come luogo di residenza, subendo pertanto rimaneggiamenti e modifiche tali da soddisfare le esigenze poste dalla nuova destinazione d’uso. Successivamente, a partire dagli anni Sessanta, il convento subisce progressivamente un grave degrado strutturale causato, principalmente del suo stato di totale abbandono e dagli atti di vandalismo perpetrati nella più totale indifferenza.

Monastero della Madonna delle Grazie: il restauro per il Giubileo del 2000

(Monastero della Madonna delle Grazie: il restauro per il Giubileo del 2000)

(Monastery of the Madonna delle Grazie: the restoration for the 2000 Jubilee)

  Con i lavori di restauro avviati in occasione del Giubileo del 2000, viene recuperato l’impianto tipologico originario e viene effettuato il ripristino strutturale dell’edificio. Non è stato possibile però recuperare gli affreschi e gli stucchi che ornavano l’intera navata centrale coperta dalla volta a botte lunettata. Oggi, dopo il restauro, l’edificio si presenta su due livelli: il primo composto da una cappella con navata centrale a pianta rettangolare, rappresenta il nucleo più antico dell’intero complesso, terminante con una zona absidale divisa dal resto da un arco trionfante e, a sinistra, da una navata laterale; il secondo si compone di tre corridoi ortogonali tra di loro attraverso i quali si accede alle celle conventuali organizzate lungo il perimetro esterno ed interno dell’edificio con affacci all’interno del chiostro e in parte sui prospetti esterni. La disposizione degli ambienti è semplice e le celle, molto piccole, recano i segni della povertà e del peso della vita monastica fatta di meditazione, preghiera ed elemosine. La torre campanaria, aggiunta in epoca successiva, è innestata in parte sulla volta a botte della chiesa e parte su quella di un ambiente sottostante del convento.

Monastero di Montalbo sotto il titolo di San Benedetto

(Monastero di Montalbo sotto il titolo di San Benedetto)

(Montalbo Monastery under the title of San Benedetto)

  Titolo di chiesa o monastero: nel linguaggio liturgico odierno significa il nome del mistero o del santo in cui onore è dedicata una chiesa. Nucleo originale risalente XI secolo. Ubicata a circa due chilometri dal centro abitato, la sua costruzione risalirebbe intorno al 1032. Alla stessa era annessa un monastero femminile, successivamente trasferitosi entro le mura, che contava fino a un massimo di trenta religiose. All’interno sono visibili alcuni affreschi di antica mano.

Quinto Orazio Flacco

(Quinto Orazio Flacco)

(Quinto Orazio Flacco)

  Venosa 65 a. C. – Roma 8 a. C. Nacque l’8 dicembre del 65 a.C. Figlio di uno schiavo liberato (liberto), il fanciullo ebbe come maestro principalmente il padre per il quale serbò sempre immensa gratitudine. Con tenacia popolana il padre dovette lavorare molto per consentire al figlio di stabilirsi Roma, forse presago del suo destino.

Quinto Orazio Flacco: la formazione

(Quinto Orazio Flacco: la formazione)

(Quinto Orazio Flacco: training)

  A Roma frequentò le migliori scuole di grammatica e retorica (fu allievo, tra gli altri, del grammatico beneventano Orbilio). A 18 anni il poeta è ad Atene, dove studia la cultura più importante del tempo, allievo di celebri accademici, peripatetici ed epicurei.
L’adesione all’ideologia repubblicana: ad Atene Orazio aderì all’ideologia repubblicana dei giovani patrizi romani e in tale periodo fu coinvolto nella storica battaglia di Filippi (42 a. C.). Salvatosi miracolosamente, fece ritorno a Roma (41 a. C.), approfittando del condono politico di Ottaviano che però non risparmiò i suoi beni rustici nella natia Venosa, successivamente confiscati. Privo di mezzi, dovette adattarsi a fare lo scrivano nell’ufficio del questore.

Quinto Orazio Flacco: il successo delle composizioni

(Quinto Orazio Flacco: il successo delle composizioni)

(Quinto Orazio Flacco: the success of the compositions)

  Nel frattempo, le sue composizioni incominciarono a trovare ammiratori a Roma e non tardarono ad essere apprezzate anche da Virgilio e da Vario che gli divennero amici per la vita; lo presentarono a Mecenate al quale era già arrivata notizia del poeta di Venosa. Con l’amicizia di Mecenate entrò a far parte di una ristretta élite di intellettuali vicini all’imperatore Augusto. Quest’ultimo lo designò suo segretario, ma Orazio declinò l’invito, pur condividendone l’azione sia sul piano politico che su quello letterario. Nel 17 a. C. fu incaricato di scrivere il Carmen seculare, in onore di Apollo e Diana, da cantare durante i ludi saeculares. (I Ludi Saeculares erano una celebrazione religiosa, che comportava sacrifici e spettacoli teatrali, tenuti nell'antica Roma per tre giorni e tre notti che delimitava la fine di un saeculum (secolo) e l'inizio del successivo. Un saeculum, presumibilmente la massima lunghezza possibile della vita umana, era considerato durare tra i 100 ed i 110 anni). Nel 20 a. C. iniziò a “pubblicare” le Epistole, il secondo libro delle quali comprende tre lunghi componimenti di argomento estetico fra cui l’ars poetica. Nell’ultimo anno di vita scrisse i quattro libri delle Odi, fra le quali si distinguono le cosiddette Odi Romane. Morì il 27 novembre dell’8 a.C. dopo breve tempo del suo grande amico e protettore, lasciando i suoi beni ad Augusto che lo fece seppellire sull’Esquilino accanto alla tomba di Mecenate

Quinto Orazio Flacco: le opere

(Quinto Orazio Flacco: le opere)

(Quinto Orazio Flacco: the works)

  Le opere:
Epodi (17 componimenti ordinati metricamente);
Satire (I libro 35 – 33 a. C.; II libro30 a.C.);
Odi (I, II , III , IV libro);
Epistole (I, II libro);
Il Carmen saeculare
Epistola ai Pisoni o Ars Poetica.

Carlo Gesualdo

(Carlo Gesualdo)

(Carlo Gesualdo)

  Venosa 1566 – Gesualdo 1613. Nacque l’8 marzo 1566 da Fabrizio II e da Geronima Borromeo, sorella di San Carlo. Studiò a Napoli e fu compositore di madrigali e musica sacra, oggi conosciuti in tutto il mondo. Fin da giovane dimostrò una grande passione per la musica e all’età di 19 anni pubblicò il primo mottetto: “Ne reminiscaris, Domine, delicta nostra” (Perdona, signore, i nostri peccati). (Il mottetto è una composizione musicale, vocale, con o senza strumenti, di ispirazione sacra). Nel 1586 sposò la cugina Maria d’Avalos, di stirpe reale spagnola, nata nel 1560 da Carlo, conte di Montesarchio e da Sveva Gesualdo. Il matrimonio avvenne nel maggio del 1586 con dispensa del Papa Sisto V, nella chiesa di San Domenico Maggiore a Napoli, situata nei pressi del palazzo dove viveva la famiglia Gesualdo. Carlo aveva 20 anni e Maria 26. Dal matrimonio nacque il figlio Emanuele.

Carlo Gesualdo: L’omicidio della moglie Maria D’Avalos e del Duca Carafa

(Carlo Gesualdo: L’omicidio della moglie Maria D’Avalos e del Duca Carafa)

(Carlo Gesualdo. The murder of his wife Maria D'Avalos and Duke Carafa)

  Troppo dedito alla caccia e alla musica non capì che la bella moglie potesse sentirsi trascurata al punto da rifugiarsi nelle braccia dell’avvenente duca d’Andria Fabrizio Carafa. I due amanti, nella notte fra martedì 16 e mercoledì 17 ottobre 1590 vennero colti in flagrante nella camera da letto di Maria e barbaramente trucidati. Il principe, nel terribile atto, fu aiutato da alcune sue guardie armate. Alla violenza omicida Carlo fu, probabilmente, suo malgrado, indotto; e più che per risentimento personale da interessate delazioni che gli imposero l’obbligo di vendicare, col sangue, l’offesa fatta al suo casato.

Carlo Gesualdo: Il rifugio nella fortezza di Gesualdo

(Carlo Gesualdo: Il rifugio nella fortezza di Gesualdo)

(Carlo Gesualdo: The refuge in the Gesualdo fortress)

  Per sfuggire alla vendetta dei Carafa, lasciò Napoli e si rifugiò nell’inaccessibile ed inespugnabile castello – fortezza di Gesualdo. Qui rimase per diciassette anni, e durante la permanenza dedicò la sua opera alla cura del paese di Gesualdo con zelo e amore; fece erigere chiese e conventi. Nel castello il principe poté dedicarsi completamente alla musica; scrisse madrigali e mottetti, molti dei quali furono stampati nella tipografia installata nel castello dal tipografo Gian Giacomo Carlino. Dopo tre anni e quattro mesi dal duplice assassinio si recò, accompagnato da suo cognato Ferdinando Sanseverino conte di Saponara, dal conte Cesare Caracciolo e dal musico Scipione Stella, a Ferrara per unirsi di nuovo in matrimonio (21 febbraio 1594) con Eleonora d’Este, cugina del duca di Ferrara Alfonso II, dalla quale ebbe un figlio, Alfonsino, che morì in tenera età. Pentito per il duplice assassinio, attanagliato dal rimorso e afflitto da emicranie e da atonia intestinale, il principe visse momenti di angoscia. Il 20 agosto 1613 gli giunse da Venosa la notizia della morte accidentale dell’unico figlio Emanuele. Carlo fu sopraffatto dal dolore e dopo pochi giorni, l’8 settembre cessò di vivere. Le sue spoglie riposano nella chiesa del Gesù Nuovo in Napoli.

Giovan Battista De Luca

(Giovan Battista De Luca)

(Giovan Battista De Luca)

  Venosa 1614 – Roma 1683. Nacque a Venosa nel 1614 da umile famiglia. Studiò giurisprudenza a Salerno e a Napoli dove si laureò nel 1635 e dove esercitò l’avvocatura. All’età di 21 anni, tornato a Venosa, fece parte del Capitolo della Cattedrale (laico) come vicario generale. In tale veste si oppose ai soprusi del principe Nicola Ludovisi e, per sfuggire alle rappresaglie di quest’ultimo, dovette abbandonare il luogo natio. Trasferitosi a Roma, dove trovò rifugio nel 1654, ben presto si mise in evidenza, fino a ottenere importanti incarichi da Papa Clemente X. Prese l’abito ecclesiastico, divenne uditore e segretario dei memoriali di Innocenzo XI, che nel 1681 lo nominò Cardinale.

Giovan Battista De Luca: le opere

(Giovan Battista De Luca: le opere)

(Giovan Battista De Luca: the works)

  La sua opera fondamentale è il Theatrum veritatis et iustitiae, sive decisivi discursus per materias seu titulos distincti (21 tomi, Roma 1669 - 73), nella quale raccolse e ordinò i suoi studi e i discorsi da lui tenuti nell’esercizio dell’avvocatura. Del Theatrum curò una riduzione in italiano col titolo “Il dottor volgare ovvero il compendio di tutta la legge civile, canonica, feudale e municipale nelle cose più ricevute nella pratica” (15 libri, 1673), nella quale sosteneva l’opportunità dell’uso dell’italiano negli atti giudiziari.
De Luca fu non solo un giurista dotto e moderno, ma anche uno scrittore chiaro, da collocare tra gli esempi notevoli di prosa tecnica e scientifica del Seicento. Compose molto probabilmente anche Instituta civilia, nonché opere di economia e di finanza. Morì il 5 febbraio del 1683, e in ricordo della sua città natia, vi istituì per testamento borse di studio per universitari meritevoli, una dote per le ragazze da marito e una donazione frumentaria. Fece restaurare ed abbellire le chiese venosine, del Purgatorio in particolare, di S. Maria della Scala entro le mura, la Cattedrale, ed anche i bei dipinti del Maranta. Fu sepolto in un imponente mausoleo, nella chiesa di S. Spirito dei Napoletani, in via Giulia a Roma. Il Cardinale voleva essere sepolto nella Chiesa di S. Girolamo degli Schiavoni di cui era titolare. Il suo amico cardinale Pamphili preferì la chiesa di S. Spirito.
La Biblioteca Civica di Venosa conserva gran parte delle sue opere giuridiche e teologiche.

Roberto Maranta

(Roberto Maranta)

(Roberto Maranta)

  Venosa 1476 - Melfi 1539. Figlio di Bartolomeo, gentiluomo di Tramonti, località del Principato Citra, stabilitosi a Venosa, nacque nel 1476. Laureatosi in giurisprudenza insegnò per molti anni presso lo Studio di Salerno e successivamente in quelli di Palermo e di Napoli. Sposò Viva Cenna di nobile origine venosina ed ebbe quattro figli: Bartolomeo, Pomponio, Lucio e Silvio. Uditore generale dei Caracciolo fu molto competente nelle leggi canoniche. A lui si deve il trattato “De multipli rerum alienatione proibita”. Ritiratosi come uditore generale a Melfi, dovette fuggire con la famiglia a causa della peste del 1501. Si rifugiò nel castello di Lagopesole dove compose la sua opera principale dal titolo “Tractatus de ordine judiciorum sive Speculum Aureum et lumen advocatorum praxis civilis”. Altra sua importante opera, composta successivamente, è quella intitolata “Feudi”, nella quale trattò in particolare questioni inerenti il diritto feudale. Morì a Melfi nel 1539.

Bartolomeo Maranta

(Bartolomeo Maranta)

(Bartolomeo Maranta)

  Venosa Prima metà XVI secolo - Molfetta 1571. Figlio di Roberto e di Viva Cenna, discendente di una delle più influenti famiglie di Venosa. Dalle fonti bibliografiche a disposizione, non si riesce a stabilire con esattezza la data della nascita, ma sappiamo che, dopo aver coltivato, per sua naturale inclinazione, l’amore per i testi classici dell’antichità, fu avviato allo studio delle scienze, che approfondì presso lo Studio di Napoli.

Bartolomeo Maranta: gli studi

(Bartolomeo Maranta: gli studi)

(Bartolomeo Maranta: studies)

  Nel 1550 si trasferì a Pisa raggiungendo Ulisse Aldrovrandi (1522 – 1605) con il quale fu sempre in strettissimi rapporti di amicizia testimoniati da un fitto scambio epistolare. Insieme all’Aldrovrandi assistette alle lezioni di Luca di Ghino Ghini, professore nell’ateneo pisano dal 1554 al 1555. Fu proprio quest’ultimo a disvelare al Maranta il fascino e i segreti dell’arte botanica. Nella città toscana Maranta poté apprendere dal Ghini i rudimenti dell’arte botanica e delle scienze mediche, e venne in contatto con quell’eredità culturale che era stata lasciata dal passaggio, solo qualche decennio prima, dal medico più famoso del secolo, Paracelso, attraverso la frequentazione di uno dei più fedeli discepoli, Johannes Oporinus. Proprio da Oporino nel 1564 vedranno la luce le “Lucullianae quaestiones”.

Bartolomeo Maranta: la competenza medica e botanica

(Bartolomeo Maranta: la competenza medica e botanica)

(Bartolomeo Maranta: medical and botanical expertise)

  Sul fine del 1556 fu chiamato ad esercitare la professione medica al servizio del Principe Vespasiano Gonzaga ( è stato un condottiero, politico e mecenate italiano, duca di Sabbioneta e marchese di Ostiano). Nello stesso anno fece rientro a Napoli, dove incominciò a frequentare con una certa assiduità il Giardino Botanico che Gian Vincenzo Pinelli aveva fornito di piante esotiche e rare. Nel 1559 pubblicò, a Venezia, il “Methodus cognoscendorum simplicium medicamentorum libri tres”, nel quale Maranta raccoglieva il frutto delle lezioni seguite a Pisa e, soprattutto, nel magistero di Luca Ghini e di Gian Vincenzo Pinelli. Il Methodus valse al botanico di Venosa l’ammirazione delle massime autorità scientifiche di quel periodo.

Bartolomeo Maranta: Il processo della Santa Inquisizione e il ritorno a Molfetta

(Bartolomeo Maranta: Il processo della Santa Inquisizione e il ritorno a Molfetta)

(Bartolomeo Maranta: The trial of the Holy Inquisition and the return to Molfetta)

  A Napoli, tra il 1559 e il 1561, Maranta, tralasciando gli studi medico-scientifici, si dedicò quasi esclusivamente ai suoi mai dimenticati interessi letterari. A questo periodo, infatti, risalgono i manoscritti di poetica letteraria intorno a problemi di interpretazione dell’Ars Poetica di Orazio e della Poetica di Aristotele. Nel 1562, sottoposto al processo dalla Santa Inquisizione, incorse in serio pericolo, scampato anche grazie all’intervento di suo fratello Lucio, vescovo di Lavello. Nel 1568 Maranta fu a Roma al servizio del Cardinale Castiglioni della Trinità, ma già l’anno successivo dovette far ritorno a Molfetta ove vivevano i suoi fratelli. A Molfetta visse gli ultimi anni di vita, confortato ancora dall’amicizia dell’Aldrovandi, nel cui epistolario è conservata un’ultima lettera datata 9 aprile 1570, e nella medesima città morì il 24 marzo 1571. Le sue spoglie riposano nella chiesa di San Bernardino a Molfetta.

Luigi Tansillo

(Luigi Tansillo)

(Luigi Tansillo)

  Venosa 1510 – 1568 Teano. Nacque a Venosa nel 1510, da, Vincenzo medico e filosofo di Nola, e da Laura Cappellano di Venosa. Studiò prima con lo zio Ambrogio Leone, dotto umanista che aveva sposato una Ippolita Tansillo, e successivamente a Napoli. Fu sempre al servizio del Viceré Don Pedro di Toledo, in qualità di segretario, e del figlio Don Garzia. Fu anche governatore di Gaeta e amico del Tasso e di potenti signori del tempo. Amò una donna di stirpe regale, Maria D’Aragona, moglie di Alfonso D’Avalos, il primo generale di Carlo V. Nel 1550 sposò Luisa Punzo (o Punzio) da cui ebbe sei figli 3 maschi e 3 femmine.

Luigi La Vista

(Luigi La Vista)

(Luigi La Vista)

  Venosa 1820 – Napoli 1848. Nacque a Venosa il 29 gennaio 1820 da Nicola La Vista fisico e da Maria Nicola Petrone, che lo lasciò orfano all’età di sei anni. Ebbe come primo maestro il nonno paterno che favorì nel ragazzo lo sviluppo di un raro ingegno. Studiò prima al seminario di Molfetta, e successivamente a Napoli, dove fu discepolo di Francesco De Santis, e perfezionò i suoi studi avendo come compagno fra gli altri il Villari. Il poeta morì il 15 maggio 1848, durante la nota insurrezione di Napoli contro i Borboni.

Giacomo Di Chirico

(Giacomo Di Chirico)

(Giacomo Di Chirico)

  Venosa 1844 – Napoli 1883. Nasce a Venosa il 25 gennaio del 1844 da Luigi, modesto falegname di 56 anni e da Caterina Savino in un umile sottano nel quartiere di San Nicola. Le condizioni economiche della famiglia, già largamente precarie, precipitano nel 1847 con la morte del capofamiglia. Per le precarie condizioni economiche della famiglia Giacomo viene ben presto messo a lavorare in una bottega di barbiere, dove rimane fino alla metà degli anni Sessanta. Fin da adolescente, però, il giovane, mostra i segni di un’ossessione e di un’inquietudine, una tendenza geniale all’osservazione e alla rappresentazione con i colori che si traducono nella mania di disegnare, di fare ritratti. Per questo, con il passare del tempo, Giacomo non si rassegna al destino di barbiere. Nell’umile bottega di barbiere Giacomo rimane fino all’età di venti anni.

Giacomo Di Chirico: la formazione a Napoli

(Giacomo Di Chirico: la formazione a Napoli)

(Giacomo Di Chirico: training in Naples)

  Nell’autunno del 1865, si trasferisce Napoli per frequentare il Reale Istituto di Belle Arti, grazie ad un apposito sussidio elargitogli prima dal Comune, “con la clausola che gli sarà continuato qualora egli dimostri di trarre dagli studi ottimo profitto”, e successivamente dall’amministrazione provinciale. Per tale ragione fu sempre largamente munifico dei doni della sua arte al suo paese natio, quando i suoi quadri, ammirati, ricercati e contesi in tutte le parti del mondo, adornavano le pareti di illustri dimore.
A Napoli, nelle ore libere prende a frequentare assiduamente lo studio privato di un artista all’epoca conosciuto e stimato. Si tratta di Tommaso De Vivo, professore onorario dell’Istituto, con il quale mantiene un solido rapporto di amicizia e ammirazione.

Giacomo Di Chirico: Il trasferimento a Roma

(Giacomo Di Chirico: Il trasferimento a Roma)

(Giacomo Di Chirico: The move to Rome)

  Rimane con Tommaso De Vivo due anni, mentre frequentava L’Istituto di Belle Arti poi, convinto della necessità di ampliare l’orizzonte professionale, e “dopo la conoscenza della maniera del Morelli, che aveva per base l’osservazione di tutto ciò che è reale”, lascia Napoli e si trasferisce a Roma. Nella “città eterna” allarga le sue vedute artistiche con lo studio della natura. Il soggiorno romano dura tre anni, nel corso del quale visita le principali pinacoteche italiane.

Giacomo Di Chirico: Il rientro a Napoli

(Giacomo Di Chirico: Il rientro a Napoli)

(Giacomo Di Chirico: The return to Naples)

  Rientrato a Napoli apre uno studio di pittura, affacciandosi così sulla scena artistica napoletana, facendosi apprezzare dai docenti dell’Istituto per i suoi primi lavori di pittura “storica”. Si afferma a Napoli come artista di grandi doti e di grande innovazione, partecipando con le sue opere alle più importanti rassegne nazionale e internazionali. Nel 1879, sull’onda degli straordinari successi raggiunti a livello nazionale, il Re gli conferisce il titolo di Cavaliere della Corona d’Italia. L’anno precedente, in seguito al matrimonio, contratto a Maiori, con Emilia D’Amato, imparentata presumibilmente con pittore maiorese Raffaele, nasceva a Napoli l’unica figlia, Maria, il 10 maggio 1883, poco prima della sua morte sopraggiunta alla fine dello stesso anno. Nonostante la gioia della paternità, gli ultimi mesi sono dolorosi, man mano che si facevano più evidenti i segnali di un certo squilibrio mentale, con momenti di parziale perdita della memoria. Dal 30 novembre dell’anno precedente era, infatti, rinchiuso nel Manicomio Provinciale di Napoli, dove muore il 16 dicembre 1883, all’apice della carriera e della maturità artistica.

Emanuele Virgilio

(Emanuele Virgilio)

(Emanuele Virgilio)

  Venosa 1868 – Tortolì 1923. Nacque il 3 agosto del 1868 da Teresa D’Andretta e da Antonio, negoziante di tessuti, originario di Canneto di Bari. Sin dalla tenera età dimostrò particolare inclinazione verso la vita sacerdotale. Fu affidato alle cure di un cugino della madre il canonico Saverio D’Andretta, che lo seguirà fino all’ingresso in seminario, dal quale uscì presbitero il 22 maggio 1891. Svolse, sin dall’inizio, il suo ministero sacerdotale come insegnante di lettere presso il seminario vescovile, di cui in seguito diverrà rettore.

Emanuele Virgilio: le capacità organizzative e l’opera di redenzione sociale

(Emanuele Virgilio: le capacità organizzative e l’opera di redenzione sociale)

(Emanuele Virgilio: organizational skills and the work of social redemption)

  Dotato di grandi capacità organizzative si adoperò per riportare il seminario di Venosa al suo antico splendore, riorganizzandolo su nuove basi secondo moderni criteri didattici e di gestione. Non si limitò solo alla cura spirituale delle anime, ma si interessò anche dei bisogni materiali dei fedeli della diocesi, convinto che sarebbe stata molto più credibile la sua predicazione se avesse preso parte fattivamente alla vita ed ai problemi presenti nella società del tempo. In tale quadro d’intenti, ideò e concretizzò l’istituzione della Cassa Rurale S. Felice (1900) al fine di venire incontro ai bisogni creditizi dei piccoli proprietari della terra che, solitamente, erano vittime di una pratica largamente diffusa, l’usura. La Cassa mirava, inoltre, a porre un freno al crescente flusso migratorio che in quegli anni era molto forte.
Nella sua incessante attività trovarono spazio anche altre iniziative coraggiose per quei tempi e tutte rivolte allo sviluppo sociale dell’ambiente in cui viveva. Promosse forme di cooperazione tra i giovani, forme di emancipazione per le donne, inviandone alcune a fare esperienze di lavoro nel Nord Italia. Si adoperava in tanti modi per la giustizia sociale partecipando al dibattito che in quegli anni si svolgeva in Italia attorno alla Questione Agraria. L’impegno sociale non lo distrasse tuttavia dall’interessamento per le sorti della diocesi di Venosa che rischiava di essere soppressa, decisivo fu il suo interessamento diretto presso il papa Pio X.

Emanuele Virgilio: la nomina a vescovo

(Emanuele Virgilio: la nomina a vescovo)

(Emanuele Virgilio: the appointment as bishop)

  Fu nominato vescovo nel maggio del 1910 ed inviato in Sardegna nella regione dell’Ogliastra. Con questo nuovo incarico continuò la sua infaticabile opera di redenzione sociale. Si fece promotore dell’istituzione del Seminario Agrario di Arzana, che divenne ben presto luogo di formazione e fonte di sviluppo economico e sociale per l’intera area. Morì a Tortolì in provincia di Nuoro il 27 gennaio 1923.

Pasquale Del Giudice: l’impegno garibaldino e la formazione a Napoli

(Pasquale Del Giudice: l’impegno garibaldino e la formazione a Napoli)

(Pasquale Del Giudice: Garibaldi's commitment and training in Naples)

  Venosa 1842 – Pavia 1924. Pasquale Del Giudice nacque a Venosa il 14 febbraio 1842. Dopo le scuole primarie si recò a Napoli per gli studi universitari, nel corso dei quali, suggestionato dai fermenti risorgimentali, si arruolò tra i volontari garibaldini. Fu aggregato alla divisione Avezzana, con la quale, tra il 17 e il 18 ottobre del 1860 combatté a Pettorano, agli ordini del colonnello Nullo, e fu fatto prigioniero. Conclusasi la parentesi di impegno militare, nel 1863 conseguì la laurea in giurisprudenza presso l'Università degli Studi Napoli, e nella città campana rimase alcuni anni per la pratica legale presso lo studio dell'illustre avvocato Enrico Pessina.

Pasquale Del Giudice: l’insegnamento universitario e le pubblicazioni

(Pasquale Del Giudice: l’insegnamento universitario e le pubblicazioni)

(Pasquale Del Giudice: university teaching and publications)

  Iniziò l'insegnamento universitario nel 1871, alla giovane età di ventinove anni, come professore di Filosofia del Diritto, nell'Università degli Studi di Napoli. Nello stesso periodo diede alle stampe numerosi suoi scritti, tra i quali: “Le coalizioni industriali dirimpetto al Progetto del Codice Penale Italiano, Bologna, 1871”; e “Il Mundio sulle donne nella Legge Longobarda, Napoli, 1872” (la sua prima pubblicazione risaliva però al 1866, e consisteva nella traduzione dell'opera dell'Ahrens sulla "Dottrina generale dello Stato"). Nel 1873 vinse il concorso per la cattedra di Storia del Diritto Italiano presso l'Università di Pavia, ove rimase fino al limite permesso dalla legge (1917) e ancora oltre quel limite in qualità di professore emerito. L'operosità scientifica fu continua e ininterrotta; dal primo studio sulla “Vendetta nel diritto longobardo, (1876)” e dall’”Enciclopedia giuridica per uso scolastico” (prima edizione (1880) che ripubblicò nel 1896, alle monografie sul Feudo e sul Diritto penale germanico, alle numerose comunicazioni ed interventi raccolti nella Storia delle fonti del diritto, data alle stampe pochi mesi prima del sua morte.

Pasquale Del Giudice: le opere principali e i prestigiosi incarichi

(Pasquale Del Giudice: le opere principali e i prestigiosi incarichi)

(Pasquale Del Giudice: the main works and the prestigious assignments)

  Le sue opere principali sono: “Studi di storia e di diritto” di Pasquale del Giudice, Milano, 1889; “Nuovi studi di storia e diritto” di Pasquale Del Giudice. Fu due volte Rettore dell’Università di Pavia e tre volte preside della Facoltà di Giurisprudenza (al suo impegno si deve, tra l'altro, la fondazione dell'Istituto Giuridico annesso alla medesima facoltà).
Fu membro dell'Accademia del Lincei e di altre accademie italiane e straniere.
Fu, inoltre, prima socio corrispondente (1879) poi membro effettivo (1890) e infine dal 1911 al 1918 alternativamente Vicepresidente e Presidente del Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Per i suoi alti meriti accademici e scientifici fu nominato nel 1902 Senatore del Regno d’Italia. Nel Senato del Regno d’Italia, diede un contributo fattivo soprattutto in materia di diritto pubblico e privato. Membro delle più importanti commissioni, fu presidente della Commissione per la riforma dei codici. Si spense, dopo breve malattia, il 20 aprile del 1924. Dal luglio del 1928, nel quadriportico dei giuristi dell’Università di Pavia, vi è un ricordo marmoreo a lui dedicato. Fu grande benefattore della sua città: al suo lascito testamentario si deve infatti il mantenimento in vita dell’istituto d’istruzione in sostituzione dell’antico seminario diocesano.

Giovanni Ninni

(Giovanni Ninni)

(Giovanni Ninni)

  Venosa 1861 – Napoli 1922. Nacque il 27 febbraio 1861 da un’antica famiglia di Venosa. Completò il primo ciclo di studi presso la locale scuola elementare, dimostrando fin da allora una maturità superiore alla sua età. Figlio di medico, volle continuare la nobile tradizione paterna iscrivendosi nel 1879 alla facoltà di medicina presso l’Università degli Studi di Napoli. Si laureò con il massimo dei voti il 1° agosto 1886. Volle diventare chirurgo a tutti i costi perché affascinato dalla attività particolare e difficoltosa.
Nel 1888 supera il concorso per un posto di assistente presso la Clinica Chirurgica del medesimo ateneo diretta dal professor Carlo Gallozzi. La sua ascesa continuò fino a diventare aiuto nell’Ospedale degli Incurabili per passare poi all’Ospedale dei Pellegrini sempre in Napoli. Nel 1896 ottenne la libera docenza in Medicina Operatoria, e quindi realizzò il suo primo sogno, quello del libero insegnamento universitario. Nel 1910 venne nominato primario chirurgo nell’Ospedale dei Pellegrini, divenendone nel 1913 direttore sanitario. Dimostrandosi ben presto un pioniere nel campo della nascente chirurgia toracica, seppe restituire la vita ad una immensa schiera di sofferenti, offrendo questa sua preziosa opera senza chiedere nessuna ricompensa quando le circostanze lo richiedevano, specie se i pazienti provenivano dalla sua terra.

Giovanni Ninni: la produzione scientifica

(Giovanni Ninni: la produzione scientifica)

(Giovanni Ninni: scientific production)

  La sua produzione scientifica, prevalentemente di carattere chirurgico, è costituita da 47 pubblicazioni frutto della sua attività di chirurgo. Tra di esse “Il Compendio di Medicina Operatoria” fu strumento essenziale per gli studenti di medicina. Fu tra i primi a tentare la sutura del cuore. Fu, come medico, uno dei protagonisti della guerra di Libia, e qualche anno prima, nel 1908, uno dei responsabili sanitari in occasione del tremendo terremoto che colpì Messina e Reggio Calabria. Morì a Napoli, il 14 aprile 1922, vittima del dovere, per infezione contratta ferendosi durante un intervento chirurgico che salvò la vita di un operaio, intervento che non volle interrompere. Ebbe anche un’intensa attività politica. Fu più volte consigliere provinciale, e candidato alla Camera dei Deputati in occasione delle elezioni generali politiche del 1909.
Un busto marmoreo lo ricorda nel cimitero di Napoli, nel recinto degli uomini illustri.

Vincenzo Tangorra

(Vincenzo Tangorra)

(Vincenzo Tangorra)

  Venosa 1866 – Roma 1922. Nacque a Venosa il dieci dicembre 1866 da un modesto maestro elementare. Fu educato nel Collegio Convitto Principe di Napoli di Assisi e compì i suoi studi negli istituti tecnici studiando agrimensura presso il Regio Istituto Tecnico di Melfi e ragioneria ad Ancona dove conseguì il diploma nel 1886. Successivamente, non disponendo dei mezzi per continuare a studiare e avendo urgente bisogno di provvedere al suo sostentamento e a quello della sua famiglia, fu assunto presso la Direzione Generale dei lavori ferroviari di Ancona (1888). Nello stesso anno, sempre a seguito di pubblico concorso, passò al Ministero della Pubblica Istruzione, come ufficiale d'ordine e l’anno successivo, fu assunto come vice segretario alla Corte dei Conti (in quest'ultimo concorso risultò essere il primo in graduatoria). Rimase alla Corte dei Conti per molti anni fino all'ottobre del 1902 (1889 - 1902), percorrendo una rapida carriera che lo portò ad essere primo segretario.
Nel corso di tale periodo proseguì nei suoi studi e, nel 1891, conseguì l'abilitazione all'insegnamento della Computisteria nelle scuole tecniche. Sono di questo periodo le sue prime pubblicazioni scientifiche: Saggio sulle scritture in partita doppia, Saggi di scienze economiche. Sempre durante il periodo di servizio presso la Corte dei Conti, previa specifica autorizzazione del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, fu ammesso, per titoli, all'esame di diploma presso la Scuola Superiore di Commercio di Venezia, esame che superò brillantemente (risultò il primo classificato) conseguendo quindi l'abilitazione all'insegnamento delle Scienze Economiche negli istituti tecnici (1892).

Vincenzo Tangorra: l’insegnamento universitario

(Vincenzo Tangorra: l’insegnamento universitario)

(Vincenzo Tangorra: university teaching)

  Grazie a questo ulteriore riconoscimento scientifico, ottenne la libera docenza in Economia Politica presso l'Università degli Studi di Roma. Insegnò così nell'ateneo romano Economia Politica per ben 10 anni, dall'1892 al 1902, continuando a prestare servizio presso la Corte dei Conti.
Nel 1897 conseguì anche la libera docenza in Scienza delle Finanze, sempre nell'Università di Roma, e nel 1902 vinse il concorso per professore straordinario di Scienza delle Finanze e Diritto Finanziario nell'Università di Pisa (mettiamo in evidenza che nel 1902 il Tangorra era ancora studente di giurisprudenza nell'Università di Camerino, nel cui ateneo conseguì il diploma di laurea nel 1903, quando cioè da sette mesi era professore straordinario nell'Università di Pisa). Nel 1904 vinse la cattedra ordinaria nella medesima università toscana, nella quale, nello stesso anno, era anche incaricato dell'insegnamento di Contabilità dello Stato. Fondò, e diresse per molti anni, la Rivista Italiana di Sociologia, la cui influenza fu molto determinante nella cultura italiana di quegli anni.

Vincenzo Tangorra: l'impegno politico

(Vincenzo Tangorra: l'impegno politico)

(Vincenzo Tangorra: political commitment)

  Accanto all'intensa attività scientifica sopra brevemente delineata, Tangorra profuse anche un attivo impegno in campo politico. Fu consigliere provinciale rappresentante del mandamento di Venosa nel 1893, consigliere comunale a Pisa nel 1908, a capo dell'opposizione di uno schieramento formato da cattolici e democratici. Nel primo dopoguerra aderì al Partito Popolare Italiano di Luigi Sturzo e fu deputato, eletto in Toscana, per due legislature (nelle elezioni del 1921 fu candidato anche in Basilicata, ebbe però scarsi consensi). Fu, infine. Ministro del Tesoro nel 1922, con Mussolini Presidente del Consiglio dei Ministri. Morì, a pochi mesi dall'insediamento, il 23 dicembre del 1922, dopo essere stato colpito da malore durante la seduta del Consiglio dei Ministri del 15 dicembre.

Vincenzo Tangorra: le pubblicazioni

(Vincenzo Tangorra: le pubblicazioni)

(Vincenzo Tangorra: publications)

  • La teoria economica sul costo di produzione, Roma, Tipografia Agostiniana, 1893;
• La funzione della banca: nota, Scanzano, Tipografia degli Olmi, 1899;
• Controllo finanziario, Roma, Stabilimento Tipografico Italiano, 1898;
• Studi sulla pressione tributaria, Roma, 1897;
• Il problema delle leggi statistiche in base alla psicologia contemporanea, Milano;
• I Fattori dell'evoluzione sociale, Roma, 1896;
• II metodo psicologico in sociologia, in "Rivista di Sociologia", Palermo, 1896;
• II problema dell'emigrazione, Roma, Stabilimento Tipografico Italiano, 1896;
• Delle denominazioni della scienza economici, Napoli, 1895;
• Per la teoria del fondo dei salari, Roma, 1894;
• La nuova teoria dell'utilità degli economisti classici italiani: prolusione, Roma, 1894;
• La sociologia e l'economia politica, Roma, 1898;
• Il controllo fiscale nell'Amministrazione finanziaria. Ricerche intorno a taluni lineamenti formali della finanza, Scanzano, Tipografia degli Olmi, 1899;
• I limiti dell'indagine teorica nella finanza pubblica: prolusione, Roma, Stabilimento Tipografico Italiano, 1902.
• Saggi critici di economia politica, Torino, Bocca, 1901;
• Le tasse ipotecarie, Torino, Bocca, 1900;
• Il diritto finanziario e i suoi odierni problemi, Torino, Bocca, 900;
• Come funziona la Corte dei Conti italiana, Bologna, 1899

Mario De Bernardi

(Mario De Bernardi)

(Mario De Bernardi)

  Venosa 1893 – Roma 1959. Dopo aver compiuto gli studi primari in paese si trasferisce a Roma. Nel 1911, all’età di 18 anni, si arruola volontario nell’esercito nella Guerra italo-turca, meglio nota come guerra di Libia, e dopo aver assistito ai primi voli con finalità belliche decide, una volta tornato in patria, di conseguire il brevetto di pilota che ottiene nel 1914 al campo di volo di Aviano. Nel 1916, come sottotenente del Corpo dell’Arma del Genio, ottiene il brevetto di Pilota Militare nella nascente aeronautica militare. Impegnato in operazioni belliche durante la Grande Guerra, è stato il primo aviatore italiano ad abbattere un velivolo nemico, per il quale ottiene la medaglia di bronzo al valore militare. Ancora sul finire del conflitto, nel 1918, componente della 91ª Squadriglia Aeroplani da Caccia comandata da Francesco Baracca, ottiene la medaglia d'argento al valor militare per aver abbattuto complessivamente quattro velivoli nemici.
Dopo la guerra, si diede alle gare di competizione: nel 1926 vinse in America la Coppa Schneider; nel 1927 conquistò il primato mondiale di velocità (479 km/h, migliorato nel 1928 con 512 km/h), ottenuto per la prima volta con un idrovolante; nel 1931 vinse a Cleveland le gare di acrobazie del National Air Races, contemporaneamente impegnato nello sviluppo e collaudo di nuovi velivoli. In servizio anche nel secondo conflitto mondiale è stato il primo a pilotare, nel 1940-41, un aeroplano a reazione (Caproni-Campini). Muore a Roma nel 1959 durante una esibizione area.

Tempo libero

(Tempo libero)

(Free time)

  Venosa è il luogo ideale per rilassarsi e divertirsi. Il ritrovo per eccellenza è la suggestiva Piazza Umberto I (detta Piazza Castello), salotto di Basilicata, che con i suoi tavolini all'aperto, è il luogo giusto per trascorrere una serata piacevole degustando un calice di Aglianico del Vulture.
Altro svago tipico delle serate venosine è quello di andare al cinema.
Venosa si può definire Città dello sport; in contradaVignali, immersa in una pineta, vi è la "cittadella dello sport" dove è possibile praticare le più svariate attività: dall'atletica leggera al tiro con l'arco, dal nuoto al tennis o semplicemente addentrarsi nella pineta per una salutare corsa.
Per chi ama la natura vi è un meraviglioso bosco di querce, in contrada Montalbo, dove poter passeggiare e godere della vista di Venosa dall'alto. Per chi predilige, invece, paesaggi collinari disseminati di vigneti deve recarsi in località Notarchirico, luogo dove nasce l'aglianico del vulture, eccellenza del "Made in Basilicata".

La tua vacanza a Venosa. Una Città da scoprire

(La tua vacanza a Venosa. Una Città da scoprire)

(Your holiday in Venosa. A city to discover)

  Abbiamo pensato 4 itinerari per permetterti di scoprire e apprezzare Venosa. Vieni a scoprire il fascino della Venusia antica con il parco archeologico e resti del grande anfiteatro romano. Oppure lasciati affascinare dalla bellezza del borgo medievale con i suoi suggestivi vicoli, le sue splendide chiese e le case palazziate. I musei ricchi di storia, e il maestoso castello ducale del Balzo. Un imponente patrimonio alla portata di tutti. Benvenuti a Venosa.

Tappa 1: da porta Fontana

(Tappa 1: da porta Fontana)

(Stage 1: from Porta Fontana)

  Partendo dalla fontana Angioina o dei Pilieri, alle cui estremità sono posti due leoni in pietra provenienti dalle rovine romane (il primo pressoché integro, tiene sotto la zampa una testa di montone), si accede alla Venosa antica, dal luogo nel quale, fino al 1842, era situata la porta cittadina cosiddetta “fontana”. Lo splendido monumento deve la sua origine al privilegio concesso alla città da re Carlo II D’Angiò nell’anno 1298, con il quale, tra le altre cose, veniva istituito un corpo di ispettori locali, incaricati oltre che della manutenzione della fontana, anche del controllo degli acquedotti che la alimentavano.

Tappa 2: Piazza Umberto I (detta piazza castello)

(Tappa 2: Piazza Umberto I (detta piazza castello))

(Stage 2: Piazza Umberto I (known as the castle square))

  Proseguendo più avanti si arriva alla Piazza Umberto I (detta piazza castello) ove sorge il Castello Ducale Pirro del Balzo. Nel punto dove è posto il maniero, vi era in precedenza l’antica Cattedrale dedicata a S. Felice, il Santo che, secondo la tradizione, subì il martirio a Venosa all’epoca dell’Imperatore Diocleziano. L’antica Cattedrale fu abbattuta per far posto alla fortificazione quando, nel 1443, Venosa venne portata in dote da Maria Donata Orsini, figlia di Gabriele Orsini principe di Taranto, a Pirro del Balzo, figlio di Francesco duca di Andria. I lavori di costruzione del Castello, incominciati nella seconda metà del XV secolo, proseguirono per alcuni decenni. L’aspetto originario era ben lontano da quello odierno: si presentava, infatti, come una fortificazione a pianta quadrata, difesa da una cinta muraria dello spessore di 3 metri, con torri cilindriche angolari, privo degli stessi bastioni che furono completati nella metà del secolo successivo. Nato come postazione difensiva, successivamente, con i Gesualdo divenne dimora del feudatario. L’ingresso originario non era quello attuale, esso si apriva sul lato nord - est, ed era munito di ponte levatoio. Attualmente, all’inizio del ponte di accesso, vi sono due teste di leone provenienti dalle rovine romane: elemento ornamentale tipico e ricorrente in una città che nel passato ha fatto largo uso di materiale di spoglio.

Segue Tappa 2: L’interno del castello

(Segue Tappa 2: L’interno del castello)

(Next Stage 2: The interior of the castle)

  All’interno del Castello, nel cortile si affaccia il loggiato a pilastri ottagonali del secolo XVI. Nella medesima piazza, alle spalle del monumento del Cardinale De Luca si trova la Chiesa del Purgatorio o di San Filippo Neri. La Chiesa fu edificata per volontà del vescovo Francesco Maria Neri (1678 – 1684). Si evidenzia la caratteristica del campanile che fa corpo con la bella e sobria facciata, tutta fregi, volute, nicchie e pinnacoli, opera si suppone, di un architetto romano, fatto venire a Venosa verso il 1680 dal Cardinale Giovanni Battista De Luca, all’epoca uditore di Papa Innocenzo XI. Nell’interno si trovano belle colonne tortili ed un San Filippo dipinto forse dal Maratta. Uscendo dal castello è consigliabile una rapida escursione verso il lato nord - est (via delle Fornaci).

Tappa 3: verso piazza Orazio Flacco

(Tappa 3: verso piazza Orazio Flacco)

(Stage 3: towards piazza Orazio Flacco)

  La stradina, scendendo, conduce verso le antiche fornaci e proseguendo lungo la valle del Reale porta alla antica fontana della Romanesca. Risalendo a ritroso e percorrendo il Corso Vittorio Emanale II si giunge in Piazza Orazio Flacco. Antico giardino del convento dei domenicani (risalente al XIII secolo), espropriato dal Comune dopo l’unità d’Italia, ospita il monumento al poeta latino Quinto Orazio Flacco (la statua bronzea è nobilmente semplice nel classico basamento di pietra circondato da una ringhiera il cui motivo ornamentale dominante è il fascio dei littori alternato col serpente, simbolo di eternità, intorno allo stemma di Venosa), opera dello scultore napoletano Achille D’Orsi, realizzato nella seconda metà del XIX secolo. Poco lontano da piazza Orazio è ubicata la Chiesa di San Domenico, edificata per volere di Pirro del Balzo allora duca di Venosa. Si presenta profondamente rimaneggiata rispetto al disegno originario, per i gravissimi danni subiti dal tragico terremoto del 1851 quando, dovette essere riedificata con le elemosine dei fedeli e grazie alla generosità di Ferdinando II di Borbone, come ricorda una lapide murata all’interno. Di notevole interesse è il trittico marmoreo inserito nella facciata.

Tappa 4: Largo Baliaggio

(Tappa 4: Largo Baliaggio)

(Stage 4: Largo Baliaggio)

  Un breve tratto di strada porta a Largo Baliaggio, il cui toponimo si deve alla presenza del Palazzo del Balì dei Cavalieri di Malta costruito intorno al XV secolo, e restaurato nel 1500 dal Balì Frate Arcidino Gorizio Barba. Sull’intera area antistante il palazzo, delimitata a quell’epoca da un perimetro di colonnine con in cima la croce di Malta in metallo, collegate tra loro con catene, vigeva il diritto d’asilo. Più in avanti s’incontra la Fontana di Messer Oto, edificata tra il 1313 e il 1314, a seguito del privilegio concesso dal re Ruggiero con il quale si consentiva alla città di avere le fontane nel centro abitato. Essa è dominata dalla mole imponente di un leone in pietra di origine romana.

Tappa 5: piazza del Municipio, Palazzo Calvini e la Cattedrale

(Tappa 5: piazza del Municipio, Palazzo Calvini e la Cattedrale)

(Stage 5: Town Hall square, Calvini Palace and the Cathedral)

  Proseguendo lungo il Corso si arriva in Piazza del Municipio, già Largo Cattedrale, dove l’uno di fronte all’altro, prospettano il Palazzo Calvini e la Cattedrale dedicata a S. Andrea con il campanile e il muro perimetrale. Edificato nella seconda metà del XVIII secolo, il palazzo, appartenuto alla famiglia Calvini, dal 1876 è sede del Municipio. Nel 1470, viceversa, ebbero inizio i lavori per la realizzazione della cattedrale che si protrassero per oltre un trentennio. Fu costruita nel punto i cui sorgeva l’antica chiesa parrocchiale di San Basilio, al centro di un’ampia piazza che ospitava officine di fabbri e molte botteghe di artigiani, le une e le altre demolite per far posto al sacro edificio cui è annesso il campanile alto 42 metri ha tre piani cubici e due a prisma ottagonali, una cuspide piramidale con grande sfera metallica in cima, sormontata da una croce con banderuola. Il materiale per la costruzione, fu preso dall’Anfiteatro Romano e questo spiega il perché siano inseriti nell’edificio iscrizioni latine, e pietre funerarie (col vescovo Perbenedetti, di cui sin notano due stemmi, si arrivò alla messa in opera delle campane nel 1614).

Tappa 5: la visita alla Cattedrale

(Tappa 5: la visita alla Cattedrale)

(Stage 5: the visit to the Cathedral)

  L’impianto della chiesa è costituito da tre navate modulari da archi a sesto acuto. L’edificio di notevole mole non offre all’esterno particolari caratteristiche, se non nel tratto posteriore, in corrispondenza della zona presbiterale. Nella chiesa alcune insegne dei del Balzo occupano in un cartiglio la sommità delle arcate. Nella cripta si trova il monumento funebre di Maria Donata Orsini moglie di Pirro del Balzo. A sinistra dell’ingresso principale in alto sono murati i bassorilievi rappresentanti tre simboli degli evangelisti: il leone, il bue, il librone in scrittura molto primitiva. Vi sono anche alcune cappelle, tra le quali si segnala quella del SS. Sacramento, il cui arco d’ingresso risale al 1520. Essa ha due affreschi di soggetti biblici: Giuditta e Oloferne, e Davide e Golia. Annesso alla cattedrale vi è, infine, il Palazzo Vescovile, uno dei più significativi interventi edilizi realizzati a Venosa nel XVII secolo.

Tappa 6: Fontana di San Marco e la casa di Orazio

(Tappa 6: Fontana di San Marco e la casa di Orazio)

(Stage 6: Fountain of San Marco and the house of Horace)

  Alle spalle della Cattedrale in prossimità della via Roma si trova la Fontana di San Marco la cui esistenza è documentata a partire dal 1500, ma è certamente più antica di tale epoca. E’ detta di San Marco perché si ergeva di fronte alla chiesa omonima. Lasciando il Palazzo del Municipio e immettendosi in via Frusci dopo pochi passi si giunge alla quella che la tradizione indica come la “Casa di Orazio”. In realtà si tratta di ambienti termali di una casa patrizia, composti da una sala rotonda che costituiva il calidario e di un attiguo vano rettangolare. La facciata mostra visibili pochi tratti di strutture romane rivestiti di mattoni a legatura reticolata.

Tappa 7: Chiesa di Rocco e Abbazia della Santissima Trinità

(Tappa 7: Chiesa di Rocco e Abbazia della Santissima Trinità)

(Stage 7: Church of Rocco and Abbey of the Holy Trinity)

  Andando più oltre si esce dal moderno centro abitato e ci immette nell’area che un tempo doveva costituire il centro vitale della Venusia romana. Sullo sfondo di vedono la Chiesa di San Rocco e più avanti il parco archeologico e l’Abbazia della SS. Trinità. La prima fu edificata nel 1503, quando la città fu colpita dalla pestilenza, in onore del santo che da quella terribile sciagura l’avrebbe poi liberata. Successivamente fu ricostruita dopo il terremoto del 14 agosto del 1851. L'abbazia della SS. Trinità, situata all’estremo limite della città, sorge là dove un tempo era il centro politico economico della città.

Segue tappa 7: la visita all’Abbazia della Santissima Trinità. La chiesa antica

(Segue tappa 7: la visita all’Abbazia della Santissima Trinità. La chiesa antica)

(Next stage 7: the visit to the Abbey of the Holy Trinity. The ancient church)

  L’abbazia si compone di tre parti: la chiesa antica, fiancheggiata a destra da un corpo di fabbrica avanzato che costituiva un tempo il luogo riservato ad accogliere i pellegrini (foresteria, a piano terra, monastero al piano superiore); la chiesa incompiuta, i cui muri perimetrali si sviluppano dietro la Chiesa antica e in prosecuzione sul medesimo asse; e il Battistero, probabilmente una chiesa paleocristiana con due vasche battesimali, da questa separato da breve spazio. I primi interventi di costruzione della chiesa antica, effettuati su un edificio paleocristiano risalente al V – VI secolo, a sua volta edificato sulle rovine di un tempio pagano dedicato al dio Imene, debbono farsi risalire tra la fine del 900 e gli inizi dell’anno 1000. L’impianto della chiesa è quello tipico paleocristiano: ampia navata centrale di metri 10,15 di larghezza, navate laterali rispettivamente larghe metri cinque, e abside sul fondo e cripta del tipo a “corridoio”. I muri e i pilastri appaiono decorati da affreschi databili tra il XIV e il XVII secolo (Madonna con Bambino, Santa Caterina di Alessandria, Niccolò II, Angelo Benedicente, Deposizione). All’interno, accanto agli affreschi citati, si segnalano la tomba marmorea di Aberada, moglie di Roberto il Guiscardo e madre di Boemondo eroe della prima crociata e, di fronte, la tomba degli Altavilla, testimonianza della loro devozione e del loro particolare attaccamento all’edificio religioso.

Segue tappa 7: la visita all’Abbazia della Santissima Trinità. Il tempio incompiuto e il battistero

(Segue tappa 7: la visita all’Abbazia della Santissima Trinità. Il tempio incompiuto e il battistero)

(Stage 7 follows: the visit to the Abbey of the Holy Trinity. The unfinished temple and the baptistery)

  Il tempio incompiuto, il cui ingresso è sormontato da un arco semicircolare impreziosito dal simbolo dell’Ordine dei Cavalieri di Malta, si presenta di dimensioni grandiose (copre una superficie di 2073 metri quadrati). L’impianto è a croce latina con transetto molto sporgente nei cui bracci sono ricavate due absidiole orientate. L’interno è caratterizzato dalla presenza di molti conci di pietra provenienti dal vicino anfiteatro romano (epigrafe latina che ricorda la scuola gladiatoria venosina di Silvio Capitone, un bassorilievo raffigurante una testa di Medusa, ecc.). La crisi in cui precipitò il monastero benedettino subito dopo l’inizio dei lavori di ampliamento, fu certamente la causa della interruzione degli stessi che non vennero mai portati a termine. Di fronte all’ingresso si notano i resti di un ampio muro curvilineo; è quanto oggi rimane del Battistero o più probabilmente di un edificio basilicale con due vasche battesimali.

Tappa 1: Chiesa di Montalbo

(Tappa 1: Chiesa di Montalbo)

(Stage 1: Church of Montalbo)

  La presenza in città di numerose chiese consente di ipotizzare un percorso alternativo imperniato sulla visita di quelle meno note. Si parte dalla Chiesetta di Montalbo, sotto il titolo di San Benedetto, è ubicata a due chilometri dal centro abitato, ed era annessa al monastero femminile, la cui costruzione risalirebbe intorno al 1032. Il monastero, poi trasferitosi entro le mura, contava fino a un massimo di trenta religiose. All’interno sono visibili alcuni affreschi di antica mano.

Tappa 2: Chiesa della Madonna delle Grazie. Il convento

(Tappa 2: Chiesa della Madonna delle Grazie. Il convento)

(Stage 2: Church of the Madonna delle Grazie. The convent)

  Più a valle, a circa un chilometro si trova la Chiesa della Madonna delle Grazie edificata nel 1503. L’antica ubicazione era a circa duecentocinquanta passi dalle mura della città, lungo il tracciato dell’antica Via Appia. Nel 1591, a seguito dei lavori di ampliamento della stessa, fu fondato il convento dei frati minori dei Cappuccini. Il convento fu eretto sotto il titolo di San Sebastiano, secondo la povera forma cappuccina. Le celle erano 18 oltre una stanzetta esterna utilizzata per alloggiare i pellegrini. I frati del convento vivevano di elemosine degli abitanti di Venosa e dei paesi circostanti. Il convento venne ampliato nel 1629 con l’aggiunta di 5 nuove celle con una spesa di circa 200 ducati. Fu definitivamente abbandonato nel 1866 a seguito della emanazione delle norme di soppressione degli ordini religiosi. La chiesa era riccamente decorata con stucchi ed affreschi; al centro della volta a botte della navata centrale vi era rappresentato il “Giudizio di Salomone”, mentre nelle lunette laterali vi erano affrescati i santi francescani ed il Cristo Redentore.

Segue tappa 2: Il convento dopo l’abbandono

(Segue tappa 2: Il convento dopo l’abbandono)

(Stage 2 follows: The convent after its abandonment)

  Dopo l’abbandono del convento da parte dei padri Alcantarini, subentrati ai cappuccini nell’ultimo periodo, dell’edificio venne utilizzato solo lo spazio di culto occupato dalla chiesa.
A partire dai primi anni del XX secolo, il convento venne utilizzato come luogo di residenza, subendo pertanto rimaneggiamenti e modifiche tali da soddisfare le esigenze poste dalla nuova destinazione d’uso. Successivamente, a partire dagli anni Sessanta, il convento subisce progressivamente un grave degrado strutturale causato, principalmente del suo stato di totale abbandono e dagli atti di vandalismo perpetrati nella più totale indifferenza. Con i lavori di restauro avviati in occasione del Giubileo del 2000, viene recuperato l’impianto tipologico originario e viene effettuato il ripristino strutturale dell’edificio. Non è stato possibile però recuperare gli affreschi e gli stucchi che ornavano l’intera navata centrale coperta dalla volta a botte lunettata. Oggi, dopo il restauro, l’edificio si presenta su due livelli: il primo composto da una cappella con navata centrale a pianta rettangolare, rappresenta il nucleo più antico dell’intero complesso, terminante con una zona absidale divisa dal resto da un arco trionfante e, a sinistra, da una navata laterale; il secondo si compone di tre corridoi ortogonali tra di loro attraverso i quali si accede alle celle conventuali organizzate lungo il perimetro esterno ed interno dell’edificio con affacci all’interno del chiostro e in parte sui prospetti esterni. La disposizione degli ambienti è semplice e le celle, molto piccole, recano i segni della povertà e del peso della vita monastica fatta di meditazione, preghiera ed elemosine. La torre campanaria, aggiunta in epoca successiva, è innestata in parte sulla volta a botte della chiesa e parte su quella di un ambiente sottostante del convento.

Tappa 3: Chiesa di San Michele Arcangelo, Chiesa di San Biagio

(Tappa 3: Chiesa di San Michele Arcangelo, Chiesa di San Biagio)

(Stage 3: Church of San Michele Arcangelo, Church of San Biagio)

  Proseguendo lungo la via Appia si giunge alla Chiesa di San Michele Arcangelo. Costruita nel 1600, per molto tempo fu dimora estiva del vescovo quando Venosa era diocesi autonoma. Ad essa è annesso un edificio, al momento in corso di restauro. Proseguendo verso il centro storico, poco distante dal castello ducale si trova la Chiesa di San Biagio. Risalente al XVI secolo, fu costruita probabilmente sui resti di un precedente edificio religioso. Malgrado le sue non ragguardevoli dimensioni, risulta essere uno degli episodi architettonici più significativi nel processo di riqualificazione dell’ambiente urbano avviato in quel periodo. Chiusa al culto da diversi decenni, offre al visitatore una facciata di particolare interesse dovuto alla presenza di robuste semicolonne ad essa addossate, oltre il portale a bugne alternate sormontato da un frontone a dalle numerose modanature della cornice. Particolarmente interessanti sono i medaglioni in pietra tenera laterali raffiguranti lo stemma di Pirro del Balzo e lo stemma dei principi Ludovisi.

Tappa 4: Chiesa di Santa Maria La Scala, Chiesa di San Giovanni, Chiesa di San Martino dei Greci

(Tappa 4: Chiesa di Santa Maria La Scala, Chiesa di San Giovanni, Chiesa di San Martino dei Greci)

(Stage 4: Church of Santa Maria La Scala, Church of San Giovanni, Church of San Martino dei Greci)

  Poco distante s’incontra la Chiesa di Santa Maria La Scala (intra moenia) alla quale era annesso il convento femminile di clausura dedicato a San Bernardo, del quale la piazzetta antistante (attuale Piazza Giovani Ninni) rappresentava il giardino interno. Di essa oltre alla facciata, si segnala il bellissimo soffitto a cassettoni di ottima fattura e ben conservato. Percorrendo un breve tratto dell’adiacente Corso Garibaldi, si giunge alla Chiesa di San Giovanni, della quale le prime notizie risalgono al 1530, anche se si suppone sia di origine più antica. Edificata probabilmente su una preesistente chiesetta medievale, risulta essere stata completamente rifatta nella seconda metà del secolo XIX, a seguito del già citato terremoto del 1851. Della stessa si segnala lo splendido campanile a cuspide. Inoltrandosi nel dedalo di vicoletti e percorrendo un breve tratto di strada si giunge alla Chiesa di San Martino dei Greci, le cui origini risalgono alla seconda metà del XIII secolo. Essa nel 1530 venne unita al Capitolo della Cattedrale e rimase parrocchia fino al 1820. Presenta un portale ornato da capitelli di tipo corinzio e nell’interno una antica tavola bizantina (oggi temporaneamente trasferita in cattedrale), raffigurante la Madonna dell’Idria. Il portale della sacrestia porta l’insegna del giglio di Francia. In questa antica chiesa è custodito anche un bel dipinto raffigurante Santa Barbara, patrona e protettrice dei minatori e degli artiglieri.

Tappa 1: Biblioteca civica, Archivio Storico

(Tappa 1: Biblioteca civica, Archivio Storico)

(Stage 1: Civic Library, Historical Archive)

  L’itinerario culturale parte dalla Biblioteca Civica “Monsignor Rocco Briscese”, ubicata nei locali del Castello Ducale Pirro del Balzo, il cui primo nucleo risale alla seconda metà del XIX secolo. Dispone di un patrimonio librario di circa 16.000 volumi, tra i quali circa 1000 volumi tra manoscritti e libri antichi (cinquecentine, seicentine, edizioni del XVIII secolo). Al suo interno è costituita la Sezione Oraziana, con circa 500 volumi e 240 microfilm donati dalla Regione Basilicata nel 1992 in occasione del Bimillenario della morte del Poeta Quinto Orazio Flacco. Conserva, inoltre, la raccolta completa delle leggi e dei decreti del Regno delle due Sicilie, oltre alla collezione delle prammatiche ferdinandee del XVIII secolo. Nei locali attigui alla biblioteca è collocato l’Archivio privato Briscese, costituito dalla documentazione originale prodotta dal defunto monsignor. Rocco Briscese durante la sua vita di studioso e di ricercatore (18 pezzi pari a circa 60 unità archivistiche). Infine, nei medesimi locali è collocato l’Archivio Storico Comunale costituito da circa 400 pezzi tra cartelle, volumi e registri, per un complessivo numero di circa 5000 unità archivistiche, con le seguenti date estreme 1487 - 1960. Esso dispone di strumenti inventariali e di mezzi di corredo.

Tappa 2: il Museo Archeologico Nazionale. Il periodo precedente la romanizzazione

(Tappa 2: il Museo Archeologico Nazionale. Il periodo precedente la romanizzazione)

(Stage 2: the National Archaeological Museum. The period preceding the Romanization)

  Nella galleria seminterrata tra le torri est e sud del Castello Pirro del Balzo è ubicato il Museo Archeologico Nazionale, inaugurato nel novembre del 1991. Al suo interno, il percorso museale si snoda attraverso una serie di sezioni che illustrano le varie fasi di vita della città antica, a partire dal periodo precedente la romanizzazione, documentato da ceramica a figure rosse e da metariali votivi (terrecotte, bronzi tra cui un cinturone) di IV – III sec. a.C. provenienti dall’area sacra di Fontana dei Monaci di Bastia (odierna Banzi) e da Forentum (Lavello). Dominano questa sezione il corredo funerario di un bambino, contenente la statuetta del toro Api, ed il famoso askos Catarinella con scena di corteo funebre (fine IV – III sec. a.C.).

Segue tappa 2: il Museo Archeologico Nazionale. La vita dell’antica Venusia

(Segue tappa 2: il Museo Archeologico Nazionale. La vita dell’antica Venusia)

(Stage 2 follows: the National Archaeological Museum. The life of the ancient Hikaru)

  Nei camminamenti del castello si ripercorre la vita dell’antica Venusia dal momento della sua fondazione, con la ricostruzione dell’impianto urbano e i più importanti documenti della fase repubblicana (le terrecotte architettoniche, la produzione ceramica a vernice nera, gli ex – voto dalla stipe sotto l’anfiteatro, la ricca monetazione in bronzo).

Segue tappa 2: il Museo Archeologico Nazionale. La raccolta epigrafica

(Segue tappa 2: il Museo Archeologico Nazionale. La raccolta epigrafica)

(Stage 2 follows: the National Archaeological Museum. The epigraphic collection)

  Molto significativa e consistente si presenta la raccolta epigrafica che permette di ripercorrere le tappe più importanti della storia del centro antico, come il riassetto della colonia nel I secolo a. C., ben rappresentate dal templum augurale bantino, ricostruito nel Museo, con cippi iscritti per trarre gli auspici, e da un frammento della famosa Tabula bantina, con testi legislativi su entrambi i lati, rinvenuto nei pressi di Oppido Lucano nel 1967. Le epigrafi, alcune delle quali ricordano magistrati impegnati nel rifacimento di strade o nella costruzione di infrastrutture come l’acquedotto, sono soprattutto di carattere funerario con un notevole numero di cippi (monumento funerario o commemorativo o segno di confine costituito da un tronco di colonna o di pilastro) iscritti, stele centinate, coperchi di arca (la c.d. “arca lucana”), monumenti funerari con busti e statue a grandezza naturale e ricchi fregi dorici, che dal I a. C. fino al IV secolo d. C. costituiscono una preziosa testimonianza della stratificazione sociale della città.

Segue tappa 2: il Museo Archeologico Nazionale. Le sculture e i manufatti

(Segue tappa 2: il Museo Archeologico Nazionale. Le sculture e i manufatti)

(Stage 2 follows: the National Archaeological Museum. The sculptures and artifacts)

  Pochi, ma significativi, i documenti della scultura, tra cui un ritratto in marmo del principe Giulio Claudio (inizi I sec. d. C.) e il telamone inginocchiato in pietra che decorava il teatro in età tardo repubblicana, mentre i vari aspetti della vita quotidiana si colgono attraverso gruppi di manufatti (ceramica in terra sigillata, vetri, lucerne, balsamari, monete) e resti di pavimenti e di affreschi musivi e di affreschi parietali.

Segue tappa 2: il Museo Archeologico Nazionale. Il periodo tardo antico e alto medievale

(Segue tappa 2: il Museo Archeologico Nazionale. Il periodo tardo antico e alto medievale)

(Stage 2 follows: the National Archaeological Museum. The late ancient and early medieval period)

  L’ultima sezione del percorso museale è dedicata al periodo tardoantico e altomedievale, di cui rimangono testimonianze significative nella monetazione, nelle epigrafi ebraiche dalle catacombe e nei corredi con ornamenti in oro e argento (orecchini, anelli, elementi di cinturone) dalle tombe di età longobarda (VI – VIII sec. d. C.).

Segue tappa 2: il Museo Archeologico Nazionale. La mostra permanente "L’area del Vulture prima dei Greci”

(Segue tappa 2: il Museo Archeologico Nazionale. La mostra permanente "L’area del Vulture prima dei Greci”)

(Stage 2 follows: the National Archaeological Museum. The permanent exhibition "The Vulture area before the Greeks")

  Nel bastione nord è ospitata dal 1996 la mostra permanente “L’area del Vulture prima dei Greci”, dedicata al popolamento del bacino tra Melfi e Venosa nel corso della Preistoria; comprende testimonianze che vanno dal Paleolitico (siti di Loreto e Notarchirico) fino all’età del bronzo (località Toppo Daguzzo di Rapolla)

Tappa 1: il parco archeologico

(Tappa 1: il parco archeologico)

(Stage 1: the archaeological park)

  Si parte dal Parco archeologico, costituito dagli impianti termali ubicati nell’area Nord-Orientale della città (tra le attuali chiese di San Rocco e SS. Trinità). Essi sono attribuibili al periodo traiano-adrianeo, periodo di intensa attività edilizia, specie nel settore pubblico. Degli ambienti termali nel loro complesso restano le tracce un Tepidarium con i piastrini in mattoncini che sostenevano il solaio di calpestio e le tracce di un frigidarium che presenta una pavimentazione musiva a motivi geometrici e zoomorfi. Delle numerose domus private, probabilmente risalenti al periodo della deduzione coloniale del 43 a.c., edificate su alcune fornaci di età repubblicana e ristrutturate agli inizi del I secolo dopo Cristo, vi sono numerose testimonianze.

Segue tappa 1: L’anfiteatro

(Segue tappa 1: L’anfiteatro)

(Stage 1 follows: The amphitheater)

  Sulla parte opposta della strada che taglia in due l’area archeologica sorgeva l’Anfiteatro. Senza dubbio l’edificio pubblico che meglio rappresenta e simboleggia la Venosa romana. La sua costruzione può farsi risalire all’età giulio-claudia (repubblicana), per le parti in muratura in opera reticolata, ad una fase più tarda risalente all’età traiana-adrianea (imperiale) per l’opera muraria mista. Sul modello degli altri anfiteatri costruiti nel mondo romanizzato, si presentava in forma ellittica con i diametri che misuravano all’incirca m. 70 x 210. Queste dimensioni, secondo alcuni calcoli, consentivano una capienza approssimativa di 10.000 spettatori. Con il declino della Venusia romana, l’anfiteatro fu letteralmente smontato pezzo per pezzo e i materiali sottratti furono utilizzati per qualificare l’ambiente urbano della città. Alcuni leoni in pietra che attualmente troviamo all’interno dell’abitato,

Tappa 2: le catacombe ebraiche e paleocristiane

(Tappa 2: le catacombe ebraiche e paleocristiane)

(Stage 2: the Jewish and early Christian catacombs)

  Nei pressi della collina della Maddalena, a poco più di un chilometro di distanza si trovano le Catacombe ebraiche. Occupano la zona di detta collina e si articolano in vari nuclei di notevole interesse storico e archeologico. Una fila di grotte scavate nel tufo e in parte franate, preannuncia la presenza delle Catacombe Ebraiche e Paleocristiane. All’interno si trovano loculi parietali e nel suolo. Le nicchie (arcosolii) contengono due o tre tombe oltre a loculi laterali per bambini. Esse furono scoperte nel 1853 (la documentazione completa relativa alla scoperta è conservata nell’archivio storico) e presentavano segni indelebili di saccheggio e di devastazione. In fondo alla galleria principale svoltando a sinistra si segnalano numerose epigrafi (43 del III e del IV secolo) in lettere dipinte di rosso o graffite. Di queste, 15 sono in lingua greca, 11 in lingua greca con parole ebraiche, 7 in lingua latina, 6 in lingua latina con parole ebraiche, 4 in lingua ebraica, e altre 4 sono in frammenti.

Segue tappa 2: note sulla comunità ebraica

(Segue tappa 2: note sulla comunità ebraica)

(Step 2 follows: notes on the Jewish community)

  La comunità ebraica, il cui nucleo originale era verosimilmente ellenistico, come si rileva dalle epigrafi, era per lo più costituita da commercianti e da proprietari terrieri. Non pochi suoi esponenti assunsero importanti cariche nel governo cittadino. Anche a Venosa gli ebrei concentravano nelle loro mani il potere economico, detenendo il monopolio del commercio del grano, dei tessuti e della lana.

Segue tappa 2: la catacomba paleocristiana

(Segue tappa 2: la catacomba paleocristiana)

(Stage 2 follows: the early Christian catacomb)

  Nel 1972 un altro sepolcreto fu scoperto nella collina della Maddalena, la Catacomba Cristiana del IV secolo, il cui ingresso originario era posto a circa 22 metri dal piano del sentiero che porta alla Catacomba Ebraica. Nel corridoio di accesso in quell’occasione furono rinvenuti 20 arcosoli, 10 per parete, oltre a parti di lucerne ed una intera di argilla rossa del tipo così detto a perline risalente al IV – II secolo a. C. Fu ritrovata, inoltre, una lucerna di argilla chiara, caduta da una nicchietta, di tipo mediterraneo ed una lastra sepolcrale attribuita all’anno 503.

Tappa 3: Il sito paleolitico di Notarchirico

(Tappa 3: Il sito paleolitico di Notarchirico)

(Stage 3: The Paleolithic site of Notarchirico)

  Nella parte opposta alle catacombe in agro di Venosa, a circa nove chilometri dalla città moderna, in un’area collinare che si estende fino alle grotte artificiali di Loreto si trova il Sito Paleolitico di Notarchirico, costituito da un’area museale coperta allestita e affidata dall’Istituto Paleolitico Luigi Pigorini di Roma. Ci si arriva percorrendo la Strada Provinciale Ofantina altezza passaggio a livello Venosa Spinazzola, e poi imboccando la Strada Statale 168 dopo il bivio per Palazzo San Gervasio. Il rinvenimento e la scoperta delle prime testimonianze della presenza umana in epoca preistorica, si devono alla passione e alla capacità scientifica dell’avvocato Pinto e del professor Briscese che, nell’estate del 1929, effettuarono le prime ricognizioni sul territorio, portando alla luce i primi significativi reperti.

Segue tappa 3: Il sito paleolitico di Notarchirico. I ritrovamenti

(Segue tappa 3: Il sito paleolitico di Notarchirico. I ritrovamenti)

(Step 3 follows: The Paleolithic site of Notarchirico. The findings)

  Le successive campagne di scavo hanno consentito di ritrovare una serie di frammenti dell’uomo preistorico oltre a numerosi resti di animali ora estinti (elefante antico, bisonte, bue selvatico, rinoceronte, cervidi, ecc.). Fra gli strumenti rinvenuti si ricordano i bifacciali. Un cranio di Elephas anticuus è stato ritrovato durante gli scavi del 1988. Le ricerche proseguono da parte della Soprintendenza Speciale in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica della Basilicata, con l’Università di Napoli “Federico II” e con il Comune di Venosa. Nel settembre del 1985 è stato ritrovato un femore umano frammentario fortemente fossilizzato attribuito ad un individuo femminile di età adulta. Il femore appartenuto probabilmente ad un Homo erectus, è il più antico resto umano ritrovato nell’Italia Meridionale e presenta alcuni aspetti patologici, studiati dal professor Fornaciari, consistenti in una neoformazione ossea, forse il risultato di una osteoperiostite conseguente ad una ferita profonda alla coscia subita dall’individuo in vita. Il femore è stato studiato dai laboratori dell’Istituto di Paleontologia Umana di Parigi e la sua datazione, attribuita usando il metodo del disequilibrio sella serie dell’uranio, risale a circa 300.000 anni fa.

Tappa 4: la tomba del console Marco Claudio Marcello

(Tappa 4: la tomba del console Marco Claudio Marcello)

(Stage 4: the tomb of the consul Marco Claudio Marcello)

  A conclusione del percorso è possibile ammirare un’altra importante vestigia del passato; la Tomba del Console Marco Claudio Marcello ubicata lungo una parallela dell’attuale via Melfi. Della tomba è impossibile sapere il suo stato originario per quanto riguarda la forma e le dimensioni. Nel 1860, alla base della tomba fu rinvenuta un’urna cineraria in piombo che, aperta, mostrò, sul fondo, uno strato basso polveroso; ciò che rimaneva dei resti umani di un personaggio della Venusia romana della fine del I secolo a.C. – primi decenni del I secolo d. C. In tale circostanza furono trovati, inoltre, alcuni frammenti di vetro un pettine e un anellino d’argento.

Cavatelli e cime di rape

(Cavatelli e cime di rape)

(Cavatelli and "cime di rape" (turnip tops))

  Pasta fatta in casa con farina di semola, con cime di rape e con soffritto di aglio olio e peperoncino. C'è anche la versione con l'aggiunta di peperone crusco (un tipo di peperone tipico lucano sottoposto ad essiccazione. Il nome "peperone crusco" è dato dalla croccantezza inconfondibile che questi peperoni assumono quando sono poi fritti dopo la fase di essiccatura)

Capelli d'Angelo con latte zucchero e cannella

(Capelli d'Angelo con latte zucchero e cannella)

("Capelli d'Angelo" (Angel hair) with milk sugar and cinnamon)

  Pasta molto sottile tipo spaghetti. E' il piatto che tradizionalmente si prepara il giorno dell'Ascensione.

"Past' e tar' cucòzz"

("Past' e tar' cucòzz")

("Past 'e tar' cucòzz" Penne with pumpkin sprouts)

  Penne con talli (germogli) di zucca e pomodori pelati

Brodetto di agnello alla pastora

(Brodetto di agnello alla pastora)

(Shepherd's lamb timbale)

  Si può gustare in tutte le case degi abitanti di Venosa i il lunedì dell'Angelo. E' un timballo di carne di agnello, uova e cardoni (grandi cardi);

U Cutturidd

(U Cutturidd)

("U Cutturidd" (Sheep meat))

  Carne di pecora (i pastori utilizzavano spesso carne di animali vecchi e improduttivi) aromatizzata con olio, lardo, pomodori, cipolla, patate, peperoncino, prezzemolo e caciocavallo stagionato

Baccalà con peperoni cruschi

(Baccalà con peperoni cruschi)

(Cod with cruschi peppers)

  Il piatto emblema della Basilicata. Baccalà lessato con aggiunta di peperoni cruschi (un tipo di peperone tipico lucano sottoposto ad essiccazione. Il nome "peperone crusco" è dato dalla croccantezza inconfondibile che questi peperoni assumono quando sono poi fritti dopo la fase di essiccatura) soffritti nell'olio extra vergine di oliva

I ciammarucchid

(I ciammarucchid)

(The "ciammarucchid": very small snails)

  Lumache molto piccole cotte con pomodoro e origano

Pizzicanell

(Pizzicanell)

("Pizzicanell")

  Hanno la forma di un rombo, tra gli ingredienti: cacao, cioccolato, mandorle e cannella (da qui il nome)

I Raffaiul

(I Raffaiul)

(The "Raffaiul"(baked sweets))

  Dolci al forno rivestiti da una glassa bianca (tuorli di uova e zucchero). Fino agli anni settanta erano i dolci tipici delle feste di matrimonio

Grano cotto dei morti

(Grano cotto dei morti)

(Cooked grain of the dead)

  Dolce per la ricorrenza del 2 novembre, giorno dei Morti. Grano perlato, chicchi di melograno, noci, vino cotto di fichi

La Scarcedd (biscotto) di Pasqua

(La Scarcedd (biscotto) di Pasqua)

(The "Scarcedd" (biscuit) of Easter)

  Il dolce dei bambini. Grosso biscotto di pasta frolla a forma di piccolo cesto fatto con ingredienti semplici e genuini (farina, olio e uova). La sua forma può variare: spesso si modella una colomba, che è uno dei simboli della Pasqua perchè rappresenta la nascita di una nuova vita con un forte richiamo religioso alla Resurrezione di Cristo, ma può anche assumere le sembianze di coniglietto, cestino, cuore, ciambella, agnello ecc. La si decora con uova sode incorporate in diversi modi in base alla forma, a volte anche con il guscio dipinto a mano, o anche con ovetti di cioccolato, perline d’argento (alimentari) e confettini multicolore.

Cauzinciddi

(Cauzinciddi)

("Cauzinciddi" (puff filled pastry))

  Sfoglia ripiena di ceci e castagne. E' un dolce prevalentemente natalizio

Pettole (pasta di pane fritta)

(Pettole (pasta di pane fritta))

("Pettole")

  Impasto di farina e lievito fritto immerso nell'olio bollente e successivamente zuccherato

Olio extravergine di oliva Vulture DOP

(Olio extravergine di oliva Vulture DOP)

(Vulture DOP extra virgin olive oil)

  Venosa è uno dei comuni che rientra nell'area del Vulture dove si produce il pregiatissimo Olio Extra Vergine di Oliva "VULTURE DOP", ottenuto dalla frangitura delle olive “Ogliarola del Vulture” per almeno il 70%; possono concorrere altresì le seguenti varietà: “Coratina”, “Cima di Melfi”, “Palmarola”,“Provenzale”, “Leccino”, “Frantoio”, “Cannellino”, “Rotondella”, in misura non superiore al 30%, da sole o congiuntamente.
Caratteristiche:
colore: giallo ambrato;
odore: di pomodoro e carciofo;
sapore: fruttato medio, leggermente amaro con una lieve nota di piccante

Aglianico del Vulture: introduzione

(Aglianico del Vulture: introduzione)

(Aglianico del Vulture: introduction)

  L’Aglianico del Vulture è tra i maggiori vini rossi DOCG d'Italia, ovvero Denominazione di Origine Controllata e Garantita. I vini contraddistinti dalla certificazione di Denominazione di Origine Controllata e Garantita, sono prodotti sottoposti a controlli estremamente severi. La commercializzazione di questi prodotti, avviene in recipienti di capacità inferiore a cinque litri che dovranno necessariamente riportare un contrassegno numerato dello Stato. Questo contrassegno è assolutamente sinonimo di garanzia, circa l’origine e la qualità del prodotto vinicolo. Questo procedimento di certificazione inoltre garantisce una numerazione delle bottiglie prodotte e quindi la sicurezza della non manomissione delle stesse.Nel 2008 il celebre e storico quotidiano statunitense "New York Times" lo annovera come il miglior vino rosso per rapporto qualità prezzo.
Il vitigno, tra i più antichi d'Italia, fu introdotto dai greci nel VII-VI secolo a.C. nell'area del vulcano spento Vulture. Secondo alcuni storici il nome Aglianico potrebbe derivare dalla storpiatura della parola Ellenico, secondo altri, invece, dall'antica città lucana sul mar tirreno di Elea (Eleanico). Il nome originario (Elleanico o Ellenico) fu modificato nell'odierno Aglianico durante la dominazione degli Aragonesi nel corso del XV secolo, a causa della doppia 'l' pronunciata 'gl' nell'uso fonetico spagnolo.
Nel periodo romano l'importanza di questo vino è testimoniata da una moneta bronzea, coniata nella città di Venusia nel IV secolo a.C., raffigurante la divinità di Dionisio che regge con una mano un grappolo di uva e il monogramma VE.
L'Aglianico del Vulture è soprattutto associato alla figura del poeta latino Quinto Orazio Flacco. Il più illustre dei cittadini di Venosa ricorda nei suoi scritti la sua infanzia nella città di Venusia e la bontà dei suoi vini e, da poeta di successo a Roma, decanterà spesso le virtù del nettare degli Dei.
Il suo verso "nunc est bibendum, nunc pede libero pulsanda tellus" (Odi, I, 37, 1) è diventato un motto immortale per chi, dopo qualche successo, alza il calice per brindare.
Venosa rappresenta il cuore dell'Aglianico del Vulture. Il 70% della produzione totale nasce dai suggestivi vigneti collinari; un connubio perfetto tra il fertile terreno vulcanico e la favorevole esposizione climatica.
Nel 1957 nasce "Cantina di Venosa"; una cooperativa i cui soci, circa 400, curano in modo impeccabile i lavori nelle vigne e le operazioni di vendemmia. Un'eccellenza del "Made in Italy" riconosciuta in tutto il Mondo

Aglianico del Vulture: caratteristiche organolettiche

(Aglianico del Vulture: caratteristiche organolettiche)

(Aglianico del Vulture: organoleptic characteristics)

  Ha un colore rosso rubino con riflessi violacei tendenti all'aranciato con l'invecchiamento, profumo armonico e intenso con sentori di frutta di bosco. Il sapore è vellutato, sapido e giustamente tannico

Prodotto A

(Prodotto A)

(Product A)

Prodotto B

(Prodotto B)

(Product B)

Ristorante 1

(Ristorante 1)

(Restaurant 1)

Trattoria 2

(Trattoria 2)

(Trattoria 2)

Osteria 3

(Osteria 3)

(Tavern 3)

Bar 1

(Bar 1)

(Bar 1)

Pasticceria 2

(Pasticceria 2)

(Pastry shop 2)

Enoteca 1

(Enoteca 1)

(Wine shop 1)

Enoteca 2

(Enoteca 2)

(Wine shop 2)

Albergo 1

(Albergo 1)

(Hotel 1)

Albergo 2

(Albergo 2)

(Hotel 2)

Bed & Breakfast 1

(Bed & Breakfast 1)

(Bed & Breakfast 1)

Bed & Breakfast 2

(Bed & Breakfast 2)

(Bed & Breakfast 2)

Agriturismo 1

(Agriturismo 1)

(Farmhouse 1)

Agriturismo 2

(Agriturismo 2)

(Farmhouse 2)

Cantina 1

(Cantina 1)

(Winery 1)

Cantina 2

(Cantina 2)

(Winery 2)

Oleificio 1

(Oleificio 1)

(Oil mill 1)

Oleificio 2

(Oleificio 2)

(Oil mill 2)

Caseificio 1

(Caseificio 1)

(Cheese factory 1)

Caseifici 2

(Caseifici 2)

(Cheese factory 2)

Da Pippo pesce fresco

(Da Pippo pesce fresco)

(Da Pippo fresh fish)

Shop 2

(Shop 2)

(Shop 2)

Autonoleggio 1

(Autonoleggio 1)

(Car rental 1)

Parcheggio 1

(Parcheggio 1)

(Parking 1)

Parcheggio 2

(Parcheggio 2)

(Parking 2)

Linee lungo raggio

(Linee lungo raggio)

(Long range lines)

Autobus Venosa Potenza Venosa

(Autobus Venosa Potenza Venosa)

(Bus connections Venosa-Potenza-Venosa)

Orari stazione ferroviaria Venosa Maschito

(Orari stazione ferroviaria Venosa Maschito)

(Venosa Maschito train station timetables)

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